L’anticipazione, il nuovo film. «Racconto il cardinale Martini. Un dono che non va disperso»

Corriere della Sera
(Giacomo Schiavi) Comincia dall’ umanità di una sofferenza ingigantita dal vuoto della cameretta, all’ Aloisianum di Gallarate, la dedica cinematografica di Ermanno Olmi al cardinal Martini. In un luogo che non è un luogo ma uno stato dello spirito, con la flebo che sgocciola, il tic tac di una sveglia, il crocifisso sul muro e una finestra aperta sul bosco che evoca libertà e misteri, silenzi e addii. La prima sequenza evoca quasi una trascendenza, con la voce del regista che sembra quella affaticata e lenta del cardinale malato, e si sovrappone a essa per diventare l’ io narrante di un testamento etico nel quale la forza della parola, fin dall’ inizio, supera e salva ciò che muore.
«La sua esistenza profetica è un dono che non va disperso», dice il regista finalmente libero da un impegno preso quattro anni fa. La scelta di essere lui stesso interprete e lettore dei messaggi del cardinale, mette subito in chiaro il significato del titolo dato al film documentario che sarà presentato venerdì 10 febbraio nel Duomo di Milano, Vedete, sono uno di voi , prodotto da Istituto Luce Cinecittà con Rai Cinema. Olmi racconta il cardinale come una parabola del Novecento, la sua umanità illuminata dalla fede, il lungo ministero a Milano attraversato da dubbi e inquietudini, la figura alta e carismatica del biblista capace di ascoltare e interpretare le ansie del presente, cercando una risposta nel Vangelo e nelle Sacre scritture. «Dalla prima intervista ci siamo intesi, abbiamo capito che coltivavamo da ambiti diversi lo stesso orticello. Il suo Vangelo è anche il mio, la sua capacità di interrogare le coscienze, di mettersi in ascolto, di guardare agli umili con lo stesso rispetto che si deve dare a ogni figlio di Dio, è una grande lezione, lascia un’ eredita pesante alla Chiesa e a tutti noi». C’ è voluto molto tempo, tanta fatica, un grande entusiasmo per completare il film. Scrutando nel passato e cercando il filo di una vocazione che ha sorpreso prima di tutto una famiglia della borghesia piemontese, il regista ha ritrovato l’ Italia, con i suoi demoni e i suoi squarci di luce: dietro il futuro cardinale c’ è la Torino tra le due guerre, il liceo D’ Azeglio, l’ educazione nel rigore che scandisce i tempi dello studio e delle vacanze, il benessere non ancora stravolto dagli orrori del conflitto. Foto d’ epoca e immagini da cinegiornale documentano le domeniche al Valentino, i tuffi in riva al Po, la vastità sinistra delle adunate in camicia nera, l’ annuncio del Duce che irrompe via radio nel salotto di casa, deserto, come un presagio di morte. La vocazione e la famiglia stupita E poi c’ è la lettera di Leonardo Martini, ingegnere, padre del futuro arcivescovo, che ricorda lo straniamento suo e della moglie, annunciando al fratello Pippo «una grande ma non troppo lieta novità»: l’ intenzione del figlio Carlo Maria di votarsi alla vita religiosa. «I Martini erano un nucleo molto unito, con quel pudore sabaudo che invitava a dirsi per iscritto ciò che coinvolgeva la casa», ricorda Marco Garzonio, biografo del cardinale e coautore della sceneggiatura. Un figlio che sta per farsi prete induce a raccontare quanto di più profondo la persona ha nel cuore, magari di inconfessabile. «Il pensiero di staccarmi per sempre da un ragazzo così buono e così caro mi rattrista profondamente», scrive il papà. Il 25 settembre 1944, a 17 anni, Carlo Maria Martini entra nel collegio della Compagnia di Gesù a Cuneo. Sul portone, a salutarlo, c’ è solo la madre. Olmi indugia sugli studi e sulla formazione teologica del futuro cardinale che giganteggia con le lauree, le edizioni in greco e latino del Nuovo Testamento, le scritture ebraiche che lo avvicinano sempre più a Gerusalemme e lo portano a diventare rettore della Pontificia università Gregoriana. Fissa con lo sguardo le immagini di una Milano irriconoscibile, livida, impaurita, dove si spara e si muore in solitudine nell’ auto per un’ overdose, una città alle prese con i miti perduti, avvelenata dal terrorismo e dal banditismo economico. Fa vedere un vescovo polacco che entra nel destino di Martini con l’ invito a esporre, nei Paesi europei ancora divisi dal Muro, le tesi sul dialogo interreligioso. Vescovo negli anni Ottanta Sarà lui, Karol Wojtyla, diventato Papa, a chiamarlo alla cattedra di Ambrogio il 29 dicembre ’79, vincendo le resistenze del gesuita che mai e poi mai pensava di fare il vescovo senza apprendistato. Appena insediato Martini deve inginocchiarsi sul corpo crivellato di colpi del giudice Galli e trovare le parole per lenire il dolore alla messa funebre di Walter Tobagi, il giornalista assassinato dai folli epigoni del brigatismo. È li che la sua parola scuote, rovescia rassegnazione e indifferenza, diventa il grido di una città ferita. «Mi ricordo quella Milano degli anni 80 – aggiunge Olmi -. Uscivi di casa e ti bollivano i piedi, c’ era disagio e smarrimento, la ricchezza navigava solo nella categoria dei ricchi». Con le sue lettere pastorali il cardinale diventa seminatore di speranze, vescovo del dialogo, sollecita l’ attenzione verso gli altri, gli umili, le persone dimenticate o ferite nella dignità, invita i giovani a comunicare con il silenzio e spiazza tutti quando chiama chi non crede in Duomo, per interrogare e interrogarsi. «La Cattedra dei non credenti diventa una nuova agorà e Martini è il defensor civitatis», scriverà Claudio Magris: esce dal buio dei tempi con la forza della parola. Quando dice «l’ uomo è più di quanto possiede», «la politica sta rubando la speranza ai giovani», « Milano è una citta che sa risorgere, orgogliosa di sentirsi comunità», «l’ Europa non può essere solo quella dei mercati», «chi ha responsabilità pubbliche deve anche saper sognare», non anticipa i temi di oggi? Le aperture sui temi etici Vedete, sono uno di voi , è un film manifesto che tiene accesa la fiaccola della speranza impugnata da Martini davanti alle ingiustizie del mondo, alle sopraffazioni, all’ umiliazione dei diritti, alla corruzione, alla carenza di linguaggi. Flash che segnano un’ epoca: la visita a San Vittore, l’ incontro con i detenuti, il battesimo per la figlia di una brigatista e le armi che i terroristi gli fanno avere in tre grosse borse, all’ Arcivescovado, in segno di resa. Racconta Olmi: «Nulla lo spiazzava, lo sorprendeva. Immediatamente trovava una risposta nella Bibbia». Anni intensi, vissuti, sofferti. Con le gerarchie di Roma in aperta ostilità per le aperture sui temi etici, dalla comunione ai divorziati al testamento biologico. «Un giorno mi ha detto: la Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Condivido. Prima di papa Francesco si stava dimenticando di Gesù». Martini, Olmi, Milano, la ragione, l’ anima, il cuore. Il cardinale dialoga con il mondo ma la città resta metafora di un impegno che sollecita l’ attenzione verso gli altri. C’ è Tangentopoli. Passano le immagini del crollo morale di un sistema, politici e imprenditori in manette, il lancio di monetine a Bettino Craxi. Olmi fa sentire un audio con la voce di Silvio Berlusconi: è crollata la Prima Repubblica e il nuovo corso inizia con la filosofia immobiliare di Milano Due Tira un grosso sospiro il regista che in questi mesi non si è risparmiato. «Era un atto dovuto per il cardinale che ha predicato il risorgimento morale e ci ha invitato a essere inquieti». Si ritorna nella cameretta, «a quell’ istante in cui c’ è ancora un futuro ma appena dopo è passato», dice Olmi. La sua voce si interrompe. La staffetta è finita. Ma l’ addio non è triste. «Martini se n’ è andato con eleganza». C’ è il sentimento dell’ uomo nelle ultime parole del cardinale davanti al rabbino Laras. Sembra davvero dire: vedete, sono uno di voi.
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