Messo alle strette, giorni fa il bel parroco ha confessato i suoi peccati carnali con varie di donne, in comproprietà con i suoi colleghi preti

Dovrei parlare di Trump, dire la mia, unirmi alle cinquecentomila donne che hanno invaso Washington e un po’ tutto il mondo, psicoanalizzare il loro fiero portamento, cosa ci aspetta e quando Dio interverrà, e come. Gli eventi però sono al momento troppo affollati, e preferisco parlare di un altro caso che concerne le donne, meno sconvolgente eppure denso di umanità. Nei verdi e dorati colli Euganei cari a Goethe, il bel don Roberto seduceva con la sua gioia di vivere donne e uomini che finalmente correvano alle sue messe, dopo anni sterili dando nuovo slancio a una popolazione che di Dio non voleva più saperne. Messo alle strette, giorni fa il bel parroco ha confessato i suoi peccati carnali con varie di donne, in comproprietà con i suoi colleghi preti. Scandaloso? Eccitante, pare almeno ai suoi fedeli che lo reclamano a tutti i costi, forse più di prima. Poca vita senza di lui, poco eros e spento, chissà i cittadini come si sono vivificati nelle sue prediche, ed eccitarsi alle prediche è amare Dio, che così si sente desiderato un po’ anche Lui. Eppoi c’è il suo amico, don Colin, che andava all’ingrosso. Si parla di 35 donne, forse 50, pazze di desiderio e pronte a fare tutto quello che si chiedeva loro, anche prostituire la propria anima. Indiavolate? Una sfida a Dio e alla chiesa, un portare i preti in basso per salire loro più in alto? Streghe? Sì, fantastica roba d’altri tempi, ora che i preti vanno singolarmente nei bordelli o hanno un’amante ben segreta e fanno le cose come si deve.

Altri secoli. Mi vengono in mente i napoleonici tempi della “Certosa di Parma”, quando Fabrizio del Dongo, eletto a monsignore, riusciva a straziare di desiderio tutte le dame – e qualche gentiluomo. Dal pulpito spandeva un amore che però poi dedicava tutto all’amata Clelia, costretta al duro matrimonio col ricco Crescenzi. In conclusione di una scalmanata vita Fabrizio era diventato monogamo; e così i due si scopavano assai appassionatamente, ma solo nel buio della sacrestia o dei giardini, poiché la nobile cattolicissima dama si era a questo vincolata, al buio, e guai a trasgredire il voto. Le dame di don Roberto sono altrettanto pudiche? Mah, si dicono cose d’ogni tipo, la fantasia dei padovani è alle stelle. Esploriamo, per il momento, di due famose dame di un tempo, la Merteuil e la Tourvel.

Mai dare retta alle ingenue. Ne sbatti una sul letto fiero di averla in pugno, e non intendi che è lei ad averti. La storia la sapete tutti, due celebri film commemorano il sommo romanzo di Choderlos de Laclos, “Le relazioni pericolose”, ma ciascuno a modo suo, modi opposti che esploderanno nei due finali. Che la tenera ingenua Tourvel s’invaghisca del seducente Valmont va da sé. Il vecchio marito, la castità e la religione, le hanno suscitato un desiderio di diavolo, e nessuno come Valmont lo è, diavolo, solo la marchesa Merteuil lo supera, forse. La Tourvel brama Valmont, ma dire che lo crede un angelo è un po’ troppo, non si sarebbe mai sollazzata con un angelo, lei che ha passato il suo tempo in preghiera e in chiesa. Tourvel ama Valmont perché è un diavolo, sa a cosa va incontro ed è pronta a espiare con la vita. Quante lacrime versa la Tourvel, quanto s’offre! Fra i tre eroi della storia il suo erotismo è ben più ricco di quello frigido degli altri due.

Chi ama chi? Chi è geloso di chi? La Tourvel è tutta presa da sé, orgasmica religiosa e divina al pari della Santa Teresa del Bernini, al punto che non vuole neppure tentare di riconquistare Valmont, preferisce inabissarsi tra lacrime e gemiti, assistita dalle suore. Si è ostinata a fingere che lui davvero in una scena di umiliazione la stesse cacciando, lo ha inchiodato davanti alla sua stessa messinscena, lo ha condannato. Ma qui, se il film di Stephen Frears è fedele al romanzo e Valmont e Tourvel muoiono entrambi, con Milòs Forman si fa un passo oltre, disvelando se non una malizia della Tourvel, certo la sua voglia di vivere: si accontenterà di portare un fiore sulla tomba del suo seduttore.

Il libro di Choderlos segna il passaggio dal Settecento all’Ottocento, dall’ambiguo illuminismo all’implacabile romanticismo di Camillo Boito, “Senso”, immortalato dal memorabile film di Visconti, dove la Grande Ingenua pienamente si rivela un po’ stronza. Povero tenentino austriaco, non sapeva cosa può fare una donna sostituita e cacciata. E i nostri parroci che cascano come pere davanti alle signore, che li mandano all’inferno? Ben gli sta, per essere davvero diavoli occorre altro, quelli sono solo cornuti.

ilfoglio.it

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