«Un fiume di soldi ai colossi delle armi Ecco la svolta bellicista della Ue»

Appena qualche giorno fa, il Consiglio dell’Unione Europea ha deciso di aumentare a due miliardi di euro per il 2023 il massimale del Fondo europeo per la pace (Epf), lo strumento paradossalmente utilizzato finora per rifornire di armi Kiev. La svolta “bellicista” dell’Ue è, tuttavia, precedente all’invasione russa dell’Ucraina. La guerra ha impresso solo un’accelerazione al processo cominciato già nel 2017 con la creazione di due programmi per finanziare la ricerca in ambito militare: l’Azione preparatoria per la ricerca sulla difesa (Padr) e il Programma europeo di sviluppo industriale della difesa (Edidp).

Allora è stata oltrepassata la «linea rossa» secondo la quale i Ventisette non avrebbero dovuto sostenere attività legate alla difesa con il bilancio comunitario. Parola dell’European network against arms trade (Enaat), consorzio di organizzazioni di cui la Rete italiana pace e disarmo è parte, che, in un recente studio, ha ricostruito il flusso di denaro investito da Bruxelles nello sviluppo di nuovi armamenti e tecnologie belliche tra il 2017 e il 2020, unico periodo per cui è stato diffuso il bilancio, ancorché parziale. Sono stati, cioè, pubblicati i dettagli per circa il 74 per cento delle spese totali, per un ammontare di 434,5 milioni di euro. Ben 427 entità hanno ricevuto finanziamenti nell’ambito dei programmi Padr e Edidb. Quindici di queste, tuttavia, si sono aggiudicate il 51 per cento di tale cifra. Si tratta di due centri di ricerca – Fraunhofer e Tno – e di tredici produttori conglemerati e grandi aziende di armi, le maggiori beneficiate del piano. Il gigante italiano Leonardo, con oltre 28 milioni di euro, è al primo posto della classifica di Enaat, seguito da Thales, Indra, Airbus e Safran. Tre di queste (Leonardo, Indra, Airbus), insieme a Saab, Fraunhofer e Tno erano parte del cosiddetto Gruppo di personalità incaricato dalla Commissione Europea nel 2016 di fornire indicazioni per la creazione dei due programmi attraverso i quali hanno ricevuto, poi, i fondi.

«Un chiaro conflitto di interessi», sottolinea la Rete italiana pace e disarmo. Come dimostrano le rilevazioni di ExitArms e Corruption tracker, molti dei nomi della lista sono stati coinvolti in consegne di armi controverse o sono state accusate di corruzione.

Il che, in base all’attuale normativa, non è sufficiente per escluderle dai fondi Ue, almeno fino a quando non c’è una condanna giudiziaria. Quarantadue dei sessantadue progetti sono, inoltre, portati avanti da realtà di quattro Paesi: Francia, Italia, Spagna e Germania, cioè le principali potenze militari europee nonché sede delle maggiori aziende armamentiste. Con la costituzione del Fondo europeo per la difesa, nel 2021, gli stanziamenti per ricerca e sviluppo militari sono lievitati ulteriormente: per realizzare la prossima generazione di armamenti e rafforzare la competitività mondiale dell’industria europea di difesa è stata prevista la cifra record di otto miliardi di euro. Un budget senza precedenti – oltre 13 volte maggiore dei programmi precursori – incrementato nel giro di un ciclo del 1.250 per cento. Ad avere accesso ai fondi sono proposte presentate da consorzi formati da almeno tre entità di tre Paesi Ue. ««Questa decisione di cambiare rotta ha portato saldamente l’Ue su un percorso nuovo e profondamente preoccupante dove i problemi politici e sociali vengono affrontati non attraverso il dialogo e la diplomazia, ma attraverso la guerra e il militarismo», sottolinea Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne di Rete italiana pace e disarmo.

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