Indignazione per la comunione negata

Caro Giuseppe,           

                        la comunione negata a un prete sposato (e sottolineo questa denominazione di ‘prete sposato’, tanto esecrata dalla struttura gerarchica, per intendere il sacerdote dispensato e congiunto in matrimonio religioso) non può soltanto sollevare l’ennesimo grido di dolore che non lascia traccia nel comportamento reale. Occorre molto di più. Ad ispirare ogni agire concreto deve comunque esserci un’indignazione profonda e la mia è abissale. Non si tratta di arrabbiarsi bensì d’indignarsi. Indignazione  e sdegno sono emozioni evangeliche, anche se non molto abituali nella civiltà di massa, e io vado cercando nel profondo della mia psiche la origine di tale sommovimento emotivo. Vi è certamente l’amicizia che mi lega  a te e a tua moglie, la conoscenza delle traversie che ti hanno colpito a causa del comportamento inumano dei superiori ecclesiastici ma anche l’osservazione dell’imperversare totemico nella società attuale e all’incapacità nelle persone di sdegnarsi. Forse, a causa del clima di aggressività planetaria dominante, una violazione dei diritti umani che colpisce un prete sposato fa l’effetto del solletico di una piuma.

                        Cerco di vincere la mia aggressività affettiva, ispirandomi alla calma socratica, ma senza spegnere il fuoco che mi divora. Non per quanto è accaduto soltanto, ma per quello che potrebbe accadere. La gerarchia  sta trascinando tutta la comunità ecclesiale in un crescendo di prove di forza per vedere fin dove può spingersi nel violare i diritti umani e finora si è spinta ben oltre i limiti del consentito. Del resto la motivazione giuridica dei soprusi non sta forse nel rifiuto da parte del vaticano di firmare la convenzione europea dei diritti umani? Che cosa può accadere dopo la comunione negata? non certo la privazione del lavoro e del pane, che già è successo. Non lo sfratto dalla casa che occupi. Già lo hanno fatto. Che cosa rimane? il carcere? il rogo?

                        In tale sconforto la mente d’un balzo va a Rousseau e alla Professione del Vicario savoiardo: "Il mio rispetto per il letto altrui lasciò allo scoperto le mie colpe. Arrestato, interdetto, scacciato, fui assai più la vittima dei miei scrupoli che della mia incontinenza; ed ebbi occasione di comprendere, dai rimproveri con i quali la mia disgrazia fu accompagnata, che non bisogna che aggravare la colpa per sottrarsi al castigo..". ( Rousseau, Emilio, libri IV )                       

                        La verità di queste parole è dimostrata da alcuni esempi non da antologia ma di vita quotidiana e anche recente, al fine di dimostrare che più si è farabutti e con più certezza ci si assicura l’impunità. Una ventina d’anni fa il parroco di un paese vicino al mio ingravida una donna sposata. Il marito, cornuto e contento, chiude un occhio, riconosce il figlio e il prete viene promosso ad altra parrocchia sempre nell’ambito della diocesi. Circa quattro anni fa i giornali s’interessano ripetutamente un caso di pedofilia verso una bambina da parte di un parroco. Calmatesi le acque (la notizia è recente) la stesso prete è assegnato ad altra parrocchia, sempre in diocesi, perché si è pentito e ormai mantiene buona condotta. Agli inizi del secolo scorso (me lo raccontava mio padre e anche la vecchia maestra del luogo) Il  parroco di un paese vicino, amico intimo di una sua parrocchiana è freddato con tre colpi di pistola sull’uscio della canonica dal marito geloso che poi rivolge l’arma contro se stesso. Conclusione della vicenda? L’omicidio viene attribuito a motivi politici, il parroco adultero seppellito con tutti gli onori e l’omicida-suicida (era ovvio) privato della sacra benedizione. Davvero, per i poveri cristi non vi mai giustizia.

                        Forse lo sdegno evangelico mi ha portato un po’ troppo lontano dalla comunione negata. Torniamoci subito con le prove dei fatti. In un paese vicino il parroco non nega la comunione al prete sposato ma gliela somministra con evidente disagio. Ciò è dimostrato dal gesto rozzo che compie nel rito. Gli butta la particola sulla mano di mala grazia come si getterebbe un tozzo di pane ad un cane affamato, o peggio, ad un lebbroso. Una volta la sacra specie va a finire a terra e il comunicando la raccoglie e la porta alla bocca. Recentemente l’episodio si ripete e il prete villano (non si merita che tale epiteto) getta l’ostia che oscilla sulla mano del fedele, prima che quest’ultimo non la fermi e si comunichi. Ma ora il fedele dice assertivamente: Stia bene attento, la prossima volta,  potrei comunicarmi personalmente prendendo l’ostia dalla pisside.

                        Ho voluto essere concreto nei particolari perché il parroco in questione frequenta il tuo sito e potrebbe contraddire…

                        Quanto alla libertà della chiesa nel punire, un punto fermo è ancora Locke e il suo Trattato sulla Tolleranza che andrebbe raccomandata al prete che ti ha punito: La chiesa ha il diritto di scomunicare colui che non rispetta le sue norme, tuttavia bisogna badare che al decreto di scomunica non si accompagni insulto verbale o violenza di fatto, che procuri in qualsiasi modo danno al corpo o ai beni di colui che è cacciato. Allo scomunicato debbono essere assicurati i beni che gli spettano come uomo e cittadino, che sono la libertà, il buon nome, il lavoro, la casa …Un cristiano come un pagano deve essere risparmiato da ogni violenza e da ogni torto (J.Locke, Lettera sulla tolleranza, I)

                        Concludo, sollecitando un movimento di opinione in tua difesa e suggerendoti per la prossima volta che vorrai comunicarti di farti accompagnare da un paio di giornalisti muniti di telecamera e macchina fotografica. Lo scoop sarebbe assicurato.

                        Un caro abbraccio

Carlo

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