Ai sacerdoti sposati non è lecito esercitare i sacri ordini!

Pontificio Consiglio
per l’interpretazione autentica dei testi legislativi

Dichiarazione Atteso che circa la retta interpretazione del can. 1335, seconda parte, del CIC, 19 maggio 1997. AAS 90(1998), p. 63s; Communicationes, 29(1997). pp. 17-18: Notitiae, 34 (1998), pp. 190 – 191

Preti sposati e celebrazione dell’eucaristia (can. 1335 CIC) 19 maggio 1997.

Atteso che in qualche nazione un gruppo di fedeli, appellandosi al prescritto can. 1335, seconda parte, del Codice di diritto canonico, ha richiesto la celebrazione della santa messa a sacerdoti che hanno attentato il matrimonio, è stato domandato a questo Pontificio Consiglio se sia lecito a un fedele o comunità di fedeli chiedere per una giusta causa la celebrazione dei sacramenti o dei sacramentali a un chierico che, avendo attentato il matrimonio, sia incorso nella pena della sospensione "latae sententiae" (cf. can. 7594 § 1 CIC), la quale però non sia stata dichiarata.
Questo Pontificio Consiglio, dopo attento e ponderato studio della questione, dichiara che tale modo di agire è del tutto illegittimo e fa notare quanto segue:
1) L’attentato matrimonio da parte di un soggetto insignito dell’ordine sacro costituisce una grave violazione di un obbligo proprio dello stato clericale (cf. can. 1087 del Codice di diritto canonico e can. 804 del Codice dei canoni delle chiese orientali) e perciò determina una situazione di aggettiva inidoneità per lo svolgimento del ministero pastorale seconda le esigenze disciplinari della comunione ecclesiale. Tale azione, oltre a costituire un delitto canonico la cui commissione fa incorrere il chierico nelle pene recensite nel can. i 394 § 1 CIC e can. 1453 § 2 CCEO, comporta automaticamente l’irregolarità a esercitare gli ordini sacri ai sensi del con. 1044 §13° CIC e can. 763 2° CCEO. Questa irregolarità ha natura perpetua, ed è quindi indipendente anche dalla remissione delle eventuali pene.
Di conseguenza, al di fuori dell’amministrazione del sacramento della penitenza ad un fedele che versi in pericolo di morte (cf. can. 976 CIC e can. 725 CCEO), al chierico che abbia attentato il matrimonio, non è lecito in alcun modo esercitare, i sacri ordini, e segnatamente celebrare l’eucaristia; ne i fedeli possono legittimamente richiederne per qualsiasi motivo, tranne il pericolo di morte, il ministero.
2) Inoltre, anche se non sia stata dichiarata la pena – cosa che peraltro il bene delle anime consiglia in questa fattispecie, eventualmente attraverso la procedura abbreviata stabilita per i delitti certi (cf. can. 1720 3° CIC) – nel caso ipotizzato non esiste la giusta e ragionevole causa che legittima il fedele a chiedere il ministero sacerdotale. In effetti, tenuto conto della natura di questo delitto che, indipendentemente dalle sue conseguenze penali, comporta un ‘aggettiva inidoneità a svolgere il ministero pastorale, e atteso anche che nella fattispecie è ben conosciuta la situazione irregolare e delittuosa del chierico, vengono a mancare le condizioni per ravvisare la giusta causa di cui al can. 1335 CIC. Il diritto dei fedeli ai beni spirituali della chiesa (cf. can. 213 CIC e 16 CCEO) non può essere concepito in modo da giustificare una simile pretesa dal momento che tali diritti debbono essere esercitati entro i limiti e nel rispetto della normativa canonica.
3) Quanto ai chierici che sono stati dimessi dallo stato clericale a norma del can. 290 CIC e can. 394 CCEO e che abbiano o meno contratto matrimonio in seguito a una dispensa dal celibato concessa dal romano pontefice, è noto che viene loro proibito l’esercizio della potestà di ordine (cf. can. 292 CIC e can. 395 CCEO). Pertanto, e salva sempre l’eccezione del sacramento della penitenza in pericolo di morte, nessun fedele può legittimamente domandare a essi un sacramento.
Il santo padre ha approvato in data 15 maggio 1997 la presente dichiarazione e ne ha ordinato la pubblicazione.
Dal Vaticano, 19 maggio 1997.
Juliàn HERRANZ, Arciv. tit. di Vertara, presidente
Bruno BERTAGNA, Vesc. tit. di Drivasto, segretario

3 Risposte a “Ai sacerdoti sposati non è lecito esercitare i sacri ordini!”

  1. A me stupisce, invece, che ostenti tanta sicurezza un anonimo che pretende di insegnare teologia senza saper neppure scrivere in italiano. Tant’è: misteri della fede (nuziale). 🙂

    Bernardo

  2. Mi stupisce ancora che ci siano persone che parlino di: “debolezza di fratelli che non sono riusciti a rimanere fedeli,ecc” se no piuttosto di fratelli che hanno avuto il coraggio di esistere e di essere se stessi davanti a Dio e agli uomini. Le cose inventate dagli uomini e trasformate poi in dogmi servono per addormanetare e dominare le cosienze, chi si nasconde dietro queste cose ostentando sicurezza, mi lascia davvero perplesso…

  3. La dichiarazione di Mons. Herranz, da lei riportata, caro Giuseppe, è assolutamente corretta. Essa infatti non discute la “validità” dell’atto ministeriale del prete sposato o sospeso o addirittura scomunicato. Tale validità non ha nulla a che vedere con la “legittimità”, che è invece oggetto della dichiarazione da lei riportata. In essa, infatti, Mons. Herranz non nega l’efficacia sacramentale dell’azione di tali sacerdoti ma la sua legittimità canonica. E’ molto diverso. Come anch’io avevo affermato, essa è giustificata solo in caso di evidente e assoluta necessità (ho fatto anche l’esempio del battesimo amministrato da un laico).

    Amare il fratello che sbaglia non vuol dire amarne anche lo sbaglio. Dio stesso ama i peccatori ma fugge il peccato.

    Il celibato ecclesiastico è una disposizione della tradizione cattolica che si fonda nei Vangeli. Aggiungo che si tratta di una pratica quanto mai opportuna per la salvaguardia della peculiarità del sacerdote e della sua funzione piena ed esclusiva.

    La debolezza di fratelli che non sono riusciti a rimanere fedeli a un impegno preso implica la costanza dell’amore verso quegli stessi fratelli, non di certo la discussione del valore dell’impegno medesimo.

    Bernardo

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