Papa Francesco e le frasi sui viri probati: un contributo al dibattito

Nel leggere la superficialità delle analisi di un certo giornalismo sensazionalistico mi viene da pensare al mio buon vecchio nonno: “Tornate sui banchi di scuola!”, amava ripetere. Ecco, forse è il caso che qualche aspirante vaticanista riapra un manuale di diritto canonico, ammesso che lo abbia mai consultato in passato. Magari potrebbe rendersi conto della capziosità di certe argomentazioni in materia di celibato dei sacerdoti. La recente intervista rilasciata da Papa Francesco alla rivista tedesca Die Zeit ha suscitato nei più le ormai consuete polemiche e la corsa allo scandalo. In realtà il Santo Padre si è limitato ad esprimere una considerazione di buon senso, nel pieno e legittimo esercizio della sua potestà pontificia. Nulla di contrario alla tradizione apostolica o che possa costituire in qualche maniera un richiamo alla deriva progressista di Santa Romana Chiesa. Molto banalmente, il papa ha aperto alla possibilità che, in alcune comunità cristiane isolate e difficilmente raggiungibili, possano ricevere l’ordinazione sacerdotale i cosiddetti viri probati, ovvero uomini sposati che abbiano superato un certa soglia di età e la cui fede sia pubblicamente provata.

Prima di avventurarci in giudizi affrettati e sentenze infondate, è necessario sapere che le fonti di diritto canonico hanno due differenti derivazioni: il diritto divino e il diritto umano. In sostanza l’intero complesso normativo, che regola da secoli i rapporti interni alla Chiesa cattolica, trova la sua giustificazione in due realtà tra loro interconnesse ma con chiari caratteri distintivi. Da una parte il diritto divino racchiude in sé tutti quei principi di diritto naturale o rinvenibili dalle Sacre Scritture (Antico e Nuovo Testamento). Per fare un esempio, l’indissolubilità del matrimonio è istituto di diritto divino in quanto si fonda sulla Parola di Dio: “L’uomo non sciolga ciò che Dio ha unito” (Mt 19,8). Pertanto gli istituti di diritto divino sono assolutamente inderogabili da leggi umane, ivi compresa la volontà legislativa del Santo Padre. Radice differente presenta invece il diritto canonico che deriva da fonti di diritto umano, scaturente cioè dall’autorità ecclesiastica, che sia il Papa, il Sinodo o il Concilio. Queste norme seguono il criterio cronologico secondo il quale lex posterior derogat priorie possono dunque essere modificate nel corso del tempo, laddove costituiscano impedimento al raggiungimento del bene spirituale dei fedeli o più semplicemente siano diventate superflue. L’istituto del celibato ecclesiastico non trova alcun riferimento scritturale ed è ad ogni effetto un principio di diritto umano, che oltretutto è stata introdotto dopo circa un millennio di vita della Chiesa, tantoché per diversi secoli in Occidente si ordinavano sacerdoti anche uomini sposati. Difatti il celibato venne introdotto nel secolo XI nell’ambito della prima grande innovazione nella storia della Chiesa: la riforma gregoriana. Sotto il peso degli odiosi peccati di simonia ed incontinenza dei preti, papa Gregorio VII diede il via ad una profonda opera di cambiamento; il celibato dei chierici, in particolare, risponde a due esigenze specifiche, l’una di natura pastorale, l’altra di tipo patrimoniale.

Papa Gregorio infatti riteneva assolutamente necessario costituire un vero e proprio “esercito di sacerdoti”, devoti alla propria comunità prima che alla famiglia ed ai figli, ed allo stesso tempo doveva affrontare la questione ereditaria e sciogliere definitivamente ogni dubbio sulla spettanza dell’asse patrimoniale del prete defunto. Ogni cosa doveva restare all’interno della comunità di appartenenza. È dunque evidente che a circa mille anni di distanza ci troviamo in una contingenza storica e sociale profondamente differente e che la portata delle vocazioni non sia minimante paragonabile a quella dell’Europa medievale. La proposta di Papa Francesco appare una misura ragionevole per assicurare un miglior espletamento delle funzioni pastorali e sacramentali (messa domenicale, confessioni, battesimi, unzione degli infermi) in quelle comunità dove scarseggiano i preti, anche a causa della diminuzione delle vocazioni. Si tratterebbe poi di una deroga, non già di un’abrogazione, del celibato ecclesiastico che per adesso nessuno osa mettere seriamente in discussione, considerandolo un pilastro della vita sacerdotale a distanza di un millennio dalla sua introduzione a regime. Ai vaticanisti alla moda, giornalisti da strapazzo e defensores fidei professionisti ricordiamo che l’unico ed irrinunciabile principio che ognuno di noi (papa compreso) è portato cristianamente a seguire non è un passivo rispetto della tradizione bensì la salvezza delle anime e la ricerca costante del bene spirituale del fedele, situato solo nell’incontro costante con Gesù Cristo Nostro Signore, Lui che è la fine ed il compimento di ogni legge esteriore.

ilconservatore.com

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