Da Berlusconi a Grillo, la “maledizione” del fuorionda Il microfono c’è ma non si vede, e i politici si scatenano

E’ la maledizione del tasto REC. Tutti pensano che il microfono sia spento, o che non ci sia proprio, invece c’è e funziona benissimo e intercetta le parole in libertà di leader, ministri, sottosegretari.

Ci sono caduti in tanti, di destra e di sinistra. Il ministro Delrio (peraltro recidivo: nel 2014 durante una conferenza stampa con Chiamparino si lasciò sfuggire un “prosegui tu, che a me non me ne frega un c…”) è solo l’ultimo di una lunga serie.

Ci sono fuorionda che spiazzano e fuorionda che in fondo mostrano quello che già si sa o che almeno si intuisce. E’ il caso, recente, delle feroci parole del governatore della Campania De Luca contro Rosy Bindi. Dopo un’intervista a Matrix, pensando di non essere registrato, si lasciò andare ad uno scioccante commento sulla sua compagna di partito: “Un’infame, da ucciderla”. Parole pesanti. Ma tutti sapevano che De Luca ce l’aveva con la Bindi per essere stata da lei inserito nell’elenco dei candidati “impresentabili” preparato dalla commissione antimafia.

Un po’ meno prevedibile il fuorionda di Silvio Berlusconi contro Giorgio Napolitano. Le cose andarono così: un deputato di Forza Italia (siamo nel 2013) sta rilasciando un’intervista, il cellulare gli squilla, lui risponde e dall’altro capo c’è Berlusconi che comincia a prendersela contro l’allora capo dello Stato. Berlusconi dice che Napolitano aveva manovrato sulla Cassazione nella decisione sul lodo Mondadori per evitare che il risarcimento che il Cavaliere doveva a De Benedetti non fosse tagliato di 200 milioni. Le parole di Berlusconi finiscono nei microfoni e da lì finiscono sul sito del Fatto Quotidiano, per essere poi rilanciate dalla trasmissione di La7 Piazza Pulita. Napolitano si infuria e fa trasmettere un comunicato durissimo in cui definisce la ricostruzione di Berlusconi “una delirante invenzione”.

Ci sono poi i fuorionda premonitori. Come quello di Gianfranco Fini del 2009. Il fondatore di An all’epoca è presidente della Camera ed è ancora alleato di Silvio Berlusconi. Ma l’insofferenza sta montando. Fini è a un convegno a Pescara e discute con il procuratore della Repubblica Nicola Trifuoggi che è seduto accanto a lui. Convinto che la conversazione si svolga a microfoni spenti, Fini va giù duro su Berlusconi: “Confonde la leadership con la monarchia assoluta. Ma io gliel’ho detto, attento che a qualche monarca hanno tagliato la testa”. A Berlusconi la testa non la tagliarono, ma tra governi caduti, condanne penali e perdita dello status di senatore non si può dire che la metafora di Fini non fosse azzeccata.

Nella stessa categoria (quella delle antipatie viscerali che emergono dalle parole colte a insaputa di chi le pronuncia) rientra il fuorionda che mostrò quanta poca stima avesse Giulio Tremonti per Renato Brunetta, quando entrambi erano ministri dell’ultimo governo Berlusconi. “E’ proprio un cretino”, disse Tremonti, mentre il suo collega seduto accanto a lui stava illustrando un piano di tagli al pubblico impiego.

E poi c’è il fuorionda che, al contrario, fa venire alla luce inimmaginabili simpatie. Come quando Beppe Grillo, pizzicato mentre usciva dal Quirinale dopo il primo incontro con Napolitano, si lasciò scappare un commento positivo: “Dobbiamo trovare un altro nome, non chiamarlo più Morfeo. Perché mi è piaciuto molto“. Ma il feeling del capo cinque stelle con Napolitano finì lì. Un fuorionda non è per sempre.

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