«La malattia, la fede, il rock» Vita da prete più giovane d’Italia

Ma un prete può fare rock? Dipende. Don Emmanuel Santoro, sì. Forse anche perché lui è stato il più giovane sacerdote d’Italia. «Quando ho ricevuto l’ordine — racconta — chiesero una deroga perché avevo solo 24 anni». Adesso ne ha uno in più. La parrocchia è quella di San Simpliciano, Milano, zona Brera. Il quartiere degli artisti. E allora si spiega tutto. «Se è per questo vengo da Cologno Monzese, si vede che ho lo spettacolo nel sangue».

La chitarra all’oratorio

Di preti che suonano sono pieni gli altari. Don Emmanuel, però, non è di quelli che si improvvisano a strimpellare la chitarra alla festa dell’Oratorio. «In effetti la passione per la musica viene da lontano. Prima della vocazione sacerdotale. Sono diplomato al Conservatorio. Suono la tromba e la batteria». Un professionista vero. Anche il fratello è appassionato di musica. «In seminario ho trovato chi condivideva la mia passione. Abbiamo messo su una band: i Parrock, giusto per far capire da dove venivamo. Il repertorio? Liga, Jovanotti, Modà. Ma anche Bon Jovi e i Timoria. I primi concerti negli oratori. Poi le serate organizzate per i giovani. Ci siamo fatti un nome: inviti nel Sud Italia, esibizione in piazza Duomo. Una volta diventati preti, però, gli impegni si sono moltiplicati e i Parrock hanno detto basta. Meglio lasciare un bel ricordo. Ma la passione per la musica resta. A San Simpliciano ci ho riprovato».

 Gli stereotipi

Un po’ come Paul McCartney che dopo i Beatles ha creato i Wings. «In oratorio ho trovato un gruppo di universitari. Gente che canta e suona. Come dire anche i vocalist. La band si chiama No Time. Perché questo nome? Perché le cose importanti non hanno tempo. La musica è uno strumento per incontrare le persone e trasmettere messaggi. Al concerto di Natale nell’auditorium di San Simpliciano c’erano trecento persone». Verrebbe da dire che in oratorio si è sempre suonato. «Vero, ma viene spesso fuori lo stereotipo del ragazzo che frequenta il nostro ambiente. Quello che indossa maglioncini fuori moda, la camicia con il collo a punta e gli occhiali col vetro a fondo di bottiglia. Gente un po’ sfigata, insomma. In un quartiere trendy come il nostro ci noterebbero subito». Neanche don Emmanuel passa inosservato. Solo che il suo look è persino più avanti di certi ragazzi che camminano per Brera. La sua vena artistica viene fuori.

La vocazione

Lui a fare il prete non ci pensava nemmeno. «Avevo la fidanzata e un papà quasi anticlericale. Non l’hanno presa bene, né l’una né l’altro. Lei non mi ha parlato per mesi. Si sentiva tradita. E mio padre pure. Ho aspettato a dirlo. Dovevo essere sicuro. Per questo trovavo tutte le scuse per andare nei weekend a Venegono, in seminario. C’era un amico che mi copriva. L’unico a sapere del mio cammino. Prima c’era stata una prova che mi aveva segnato. Un linfoma. Dicono che le malattie avvicinino a Dio. Il mio medico diceva, invece, che il dolore, la sofferenza sono la prova che Dio non esiste. Già, ma allora la musica chi l’ha inventata?».

corriere.it

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