CHIESA E SCANDALI «Sono stata con il prete, mi diceva: non ti preoccupare, faccio tutto io»

Per il Movimento dei sacerdoti lavoratori sposati fondato nel 2003 da don Serrone un’altro caso di doppia vita dei preti da non confondere con i preti sposati che hanno un regolare percorso di vita nella trasparenza avviato verso il matrimonio religioso dopo le dimissioni dagli incarichi ecclesiali (ndr).

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Preti Sposati

PADOVA Mi cerca lei via mail, ha 40 anni, è padovana ed è la prima volta che esce allo scoperto. Non si sottrae alla richiesta di parlarci al telefono, a patto di mantenere l’anonimato. «Anch’io sono stata con un prete — rivela — voglio raccontare la mia storia perché non passi il messaggio che è sempre la donna a sedurre il sacerdote. E’ duro a morire il pregiudizio per cui la donna che va col prete è di facili costumi, ma io sono l’esempio vivente che non è così».
E com’è?
«Chi va in Chiesa lo fa perché ha bisogno di un riferimento e quando lo trova non riesce più a staccarsene. La Chiesa crea dipendenza, perché dà certezze, e i preti diventano insostituibili. E intoccabili: guai a metterli in discussione».
Perché non ha parlato subito?
«Per paura di non essere creduta e di essere invece guardata e giudicata male. Come si fa a dimostrare di essere andata con un prete? E poi non volevo mettere in difficoltà lui, lo amavo, quindi ho taciuto e il tempo è passato. Finché è emerso il senso di colpa: e se poi circuisce altre donne, magari ci prova con minorenni, con bambini? Ci vuole una grande forza psicologica per far cadere il velo, hai contro il mondo».
La sua storia qual è?
«Ho conosciuto questo sacerdote, bello e carismatico, nel 1999. Aveva 40 anni, io ero già laureata ma ero in crisi: non trovavo lavoro, il fidanzato mi aveva lasciata e in famiglia i rapporti erano tesi. Soffrivo di depressione e attacchi di panico. Una signora con cui facevo volontariato e che teneva la contabilità per la parrocchia del prete in questione mi ha consigliato di seguire le sue prediche. Era un grande motivatore, insegnava come vivere nel modo giusto le emozioni. Le sue messe erano sempre piene, al sabato, alla domenica e due sere infrasettimanali».
Come l’ha avvicinata?
«Sono andata a confessarmi, c’era sempre tanta gente: lui accoglieva i fedeli dalle 15 alle 19 ma bisognava mettersi in coda già alle 10 e spesso non riuscivi lo stesso a parlarci. Più che confessioni erano colloqui psicologici. Gli ho raccontato tutto di me, della mia vita, della famiglia, e lui mi incalzava: tu mi stai nascondendo qualcosa, c’è dell’altro. Io non capivo. La seconda volta mi ha preso le mani e mi ha detto: tienimele strette con gli occhi chiusi, vediamo se ti fidi di me».
Lei si fidava?
«Sì, questi soggetti sanno scegliersi bene le vittime tra le persone più fragili. Quando gli ho portato un regalino per il compleanno, mi ha ricevuta per ultima nel suo studio e mi ha chiesto: posso fare una cosa io, come se tu fossi mia madre, mia sorella o mia figlia? Mi ha preso le mani e me le ha messe intorno alla sua vita. Io ero ancora innamorata del mio ex, ma lui faceva allusioni strane e io pensavo che si stesse infatuando di me e non avesse il coraggio di dirmelo. Che ingenua. Mi pareva pulito, sincero».
Ma non le sembrava una situazione strana?
«Sì, pensavo: devo allontanarmi da lui, non può innamorarsi di me, sarebbe un bel pasticcio. Ma mi affascinava: si era sparsa la voce che fosse un taumaturgo, che avesse guarito dal tumore se stesso e altre persone. Ti prendeva, ti trasmetteva energia. Mi sono trasferita lontana dalla città e dopo un mese gli ho scritto un biglietto: vorrei salutarla, non verrò più a messa da lei. Gli avevo sempre dato del lei. Qualche sera dopo sono andata a trovarlo in parrocchia e mi ha fatta entrare nel suo studio. Ha chiuso a chiave e mi ha detto: dimmi perché sei venuta e cosa vuoi veramente. Io esitavo, lui mi incalzava: sarebbe ora che mi facessi vedere se hai le palle. Ci siamo abbracciati, lui mi faceva intendere che fossi io la padrona del gioco. Faceva fare a me le cose, finché ha detto: se non ti togli i vestiti, te li strappo via io».
E lei?
«Ero inesperta, così ha cercato di stemperare la tensione sussurrandomi: guarda che per me è la prima volta. In seguito ho saputo che aveva una relazione in corso e un figlio. In quel momento gli ho risposto: lo sai che così si fanno i bambini? E lui: non preoccuparti, faccio tutto io, stai tranquilla. Ma non aveva il preservativo, perciò ci siamo fermati. Le sue uniche parole sono state: non sentirti in colpa. Nei giorni successivi stavo male, non riuscivo a mangiare nè a dormire, gli telefonavo e non mi rispondeva. Sono tornata da lui qualche mese dopo, per portargli un piccolo dono. Mi ha ordinato: togliti il cappotto. Non l’ho fatto e allora ci ha infilato le mani dentro e mi ha palpato seno e sedere. Senza dire niente. Sono rimasta choccata, me ne sono andata impietrita. Ma ero sempre convinta che fosse innamorato di me e che si comportasse così per il grande dolore che lo stava dilaniando. Da allora ho deciso di non vederlo più. L’ho incrociato ad un incontro di preghiera, mi ha sfiorato il seno con la mano».
L’ha denunciato?
«Sono andata alla polizia, ma non avendo subìto violenze non c’erano gli estremi per la denuncia. Però ho parlato con i vertici della Curia, che hanno preso provvedimenti. Oggi lui non è più un sacerdote. Ma io sono ancora in cura dallo psicologo. Non riesco a superare i sensi di colpa».

corriere.it

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