“Nostro figlio vittima dell’ex prete per colpa della Chiesa e dei suoi silenzi”

Foggia. La rabbia dei genitori del giovane abusato da don Trotta: “Nessuno ci mise in guardia. Vogliamo incontrare Francesco”

FOGGIA. Il papà: “È difficile, forse impossibile. Avrebbero dovuto evitarlo, certo che avrebbero dovuto “. La mamma: “Non ho mai frequentato troppo la parrocchia. Ma ora mi piacerebbe incontrare Papa Francesco, mi dà grande fiducia. Vorrei stringergli la mano, guardarlo negli occhi e chiedergli di fare in modo che non accada più. Nostro figlio si sarebbe potuto salvare se solo il Vaticano avesse fatto l’unica cosa giusta da fare: denunciare, avvertirci di quel pericolo”.
Questi sono i genitori di uno dei bambini abusati da Gianni Trotta, l’ex prete foggiano accusato dalla procura di una dozzina di abusi sui minori. Le violenze sono avvenute quando l’uomo allenava una squadra di calcio di ragazzini: era già stato cacciato dalla Chiesa per fatti di pedofilia, ma la Curia non l’aveva denunciato. E così ha potuto colpire di nuovo. Per il figlio di questi signori, che aveva 11 anni al momento degli abusi, Trotta è stato condannato a otto anni di carcere. Una pena arrivata grazie anche alla determinazione di queste due persone che, assistite dall’avvocato Lina Fiorilli, non hanno avuto paura di chiedere giustizia. Ieri si è celebrata l’udienza del nuovo procedimento che vede imputato l’uomo per altri nove casi. Solo una famiglia si è costituita parte civile. “Questo mi dispiace: non serve avere coraggio per denunciare chi ha rovinato la vita di tuo figlio. È la natura che ce lo chiede”.

Signora, come avete conosciuto Gianni Trotta?
“Don Gianni Trotta, perché nessuno sapeva in paese che non fosse più un prete. Io frequento poco la parrocchia, ma il nostro è un paese da 2 500 abitanti. Lui seguiva i bambini al catechismo. Soltanto i maschietti, però”.

Trotta nel 2012 era stato cacciato dalla Chiesa per pedofilia. Nessuno vi aveva informato?
“Assolutamente no. Ricordo che trovò una scusa per non celebrare il matrimonio di una sua cugina, ma tutti in paese, dove vivevano i suoi genitori anziani, erano convinti che fosse in attesa di una destinazione in Africa”.

Come entrò in contatto con suo figlio?
“Al campetto di calcio. Mio figlio è malato di pallone. Poco dopo gli propose di fare doposcuola da lui e io non ebbi niente da ridire: che male poteva fargli don Gianni? E invece… Noi non potevamo immaginare, ma la Chiesa sapeva tutto: perché non l’hanno denunciato? Perché gli hanno permesso di condannare a vita i nostri bambini?”.

Lei si è data una risposta?
“Ci ho provato. Ma non c’è nessuna giustificazione. Per questo vorrei parlare con questo Papa che mi piace, sta facendo piazza pulita. Deve imporre l’obbligo di denuncia”.

Anche nel suo paese non ha denunciato nessuno.
“È terribile. In tantissimi avrebbero potuto fermarlo, e invece non lo hanno fatto. E mi dispiace molto che oggi soltanto una famiglia abbia avuto il coraggio di metterci la faccia. Io appena ho capito, ho fatto di tutto. Mi hanno addirittura detto che lo facevo per soldi. Che poi, quali soldi, quello è un poveraccio, abbiamo pagato anche le spese legali. Ma è giusto così, non potevamo fare altrimenti. Qual era l’alternativa, il silenzio? Come avrei fatto a guardarmi allo specchio, la mattina? Io non ho avuto paura perché sono madre, semplicemente madre, e dovevo difendere mio figlio in tutte la maniere. E l’ho fatto nel processo, visto che prima purtroppo non abbiamo capito nulla di quello che stava succedendo. Siamo gente che lavora la terra, siamo semplici, ma conosciamo bene alcune regole: se la mela è marcia, va tolta”.

Come sta suo figlio, adesso?
“Va a scuola, è seguito da alcuni psicologi, le cicatrici immagino rimarranno, ma per fortuna ci sono i suoi sogni, le sue passioni, e quel pallone che non abbandona mai. Alle volte si sveglia e mi chiede: “Mamma, ma è vero che non torna più? Non è che don Gianni esce dalla galera?”. Di questo per lo meno sono sicura: può stare tranquillo, per un bel po’ di tempo don Gianni rimane lì”.
repubblica.it

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