Chiesa, le trame dei cardinali nemici della riforma di Francesco

Quattro porporati anziani vogliono correggere le ricette di Bergoglio sulla sfera sessuale e matrimoniale. Ma il colpo di Stato è arduo. Così il fronte conservatore cerca altre strade. Anche se il papa tira dritto.

Che progressi sono stati compiuti nella riforma della Chiesa durante il pontificato di papa Francesco? E quali sono gli aspetti giuridici, organizzativi e legislativi del suo operato? Bergoglio ha fatto una puntigliosa analisi della situazione il 22 dicembre 2016, ricevendo la Curia romana per i consueti auguri di Natale, occasione spesso scelta dai pontefici per delineare il loro programma di governo.

ITALOCENTRISMO NEL MIRINO. Francesco insiste nel dire che i cambiamenti veri non sono poi così circoscrivibili in termini formali – la misericordia, lo stare in mezzo al popolo, l’ascolto di tutti, l’apertura al mondo, e in fondo anche la sinodalità, cioè la capacità dei vescovi di decidere insieme -, ma sa bene che serve anche una nuova struttura istituzionale; e anzi su questo aspetto ha raccolto, in conclave, i voti trasversali di liberal e conservatori uniti dalla volontà di buttare all’aria l’italocentrismo ormai asfittico della Curia bisognosa di una ricostruzione.
Dall’elenco fatto da Bergoglio è emerso un enorme cantiere aperto: dicasteri accorpati e scomparsi, una sorta di super riorganizzazione delle finanze ancora in corso, l’iper semplificazione dei processi di nullità matrimoniale, l’istituzione di un dicastero per la tutela dell’infanzia accompagnato dalla possibilità giuridica di procedere contro il vescovo che ha insabbiato un abuso, la commissione per il diaconato femminile, quella per la riorganizzazione della sanità cattolica dopo la pioggia di scandali degli ultimi anni, l’allontanamento di molti funzionari, alcuni poco noti, però situati nei gangli nevralgici del Vaticano, soprattutto in quelli economici, un nuovo diritto penale e altro ancora.

APPARATI DELLA CURIA SI OPPONGONO. A questo si è aggiunta una rinnovata capacità di ‘governance’ a livello globale con il rilancio al massimo livello della diplomazia vaticana, nel frattempo il sacro collegio cardinalizio è diventato sempre più universale e meno eurocentrico. La situazione di work in progress, insomma, appare vasta e articolata; molto lavoro resta da fare, interi capitoli ancora devono essere aperti come quello, drammatico per il futuro e la vita della Chiesa, della crisi delle vocazioni. Eppure settori significativi degli apparati ecclesiali e curiali fanno melina, non rispondono, si oppongono, contestano il papa più o meno apertamente.
Il territorio privilegiato di questi critici che guardano a Francesco con crescente antipatia è in fondo più tradizionale e meno istituzionale di quanto si pensi. Tocca cioè preferibilmente il campo dove si trova più a suo agio, ovvero la sfera etico-sessuale-matrimoniale. E così una questione tutto sommato marginale come la possibilità di far accedere i divorziati risposati civilmente alla comunione è diventata la strana linea Maginot lungo la quale si sono asserragliati i gruppi più intransigenti dell’anti-bergoglismo.

I “DUBIA” NERO SU BIANCO. L’ultimo assalto in questo senso è stato portato da quattro cardinali anziani, già prima di Natale: i tedeschi Walter Brandmüller, un tempo con incarichi curiali, e Joachim Meisner (ex arcivescovo di Colonia), l’italiano Carlo Caffarra, ex arcivescovo di Bologna, e l’americano Raymond Leo Burke, il più duro, capofila della fazione ultra tradizionalista Oltretevere. Hanno messo nero su bianco i loro “dubia” e sostenuto che le aperture concesse dal papa sulla famiglia, i criteri del perdono e dell’accoglienza, del dialogo con il credente che pure ha sbagliato, portano alla confusione, all’annacquamento della verità e della fede, all’incertezza giuridica della norma. E hanno tentato un azzardo a fine 2016 per bocca del cardinal Burke: se il papa non cambierà posizione su questi temi – il riferimento è all’esortazione post-sinodale Amoris laetitia dedicata alla famiglia, uno dei documenti chiave del magistero del papa argentino – «lo correggeremo».
I colpi di Stato o riescono o finiscono in farsa, e qui si tratta evidentemente del secondo caso. Il cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, a lungo il temuto dicastero che stabiliva il confine fra la verità e l’errore e oggi un ministero ridimensionato del Vaticano, ha ammesso che non poteva esserci alcuna correzione e che i quattro stavano sbagliando. Parole pesanti, perché Müller fa parte della squadra dei critici del papa. Un po’ come se lo stato maggiore avesse sconfessato gli ufficiali usciti dalla caserma con intenti bellicosi lasciandoli soli in mezzo alla strada.

L’ORDINE DI MALTA FA RESISTENZA. Sullo sfondo rimane poi la resistenza opposta al papa dal Sovrano ordine di Malta, all’interno del quale l’incarico di cardinale patrono (rappresentante della Santa sede) è ricoperto da Burke, lì collocato da Francesco affinché producesse il minor danno possibile. Istituzione un po’ d’altri tempi, un po’ lobby moderna che si muove dentro e fuori le mura vaticane, l’Ordine vive un momento di crisi interna, esemplificato da un ricambio rocambolesco al vertice appoggiato dal cardinal Burke e dal Gran maestro Frà Matthew Festing: il gran Cancelliere Albrecht von Boeselager è stato “dimesso” d’imperio e sostituito da Frà John Edward Critien; vicenda nella quale il papa ha voluto vederci chiaro, e forse ha approfittato del caso per dare un’occhiata a tutto il Sovrano ordine.

IL PAPA VUOLE UN’INCHIESTA. Così ha istituito una commissione ad hoc incaricata di indagare sull’accaduto e poi di riferire. La cosa naturalmente non è piaciuta all’antica istituzione che ha reagito stizzita rivendicando la propria piena autonomia e annunciando la non-collaborazione con l’organismo istituito dal pontefice; il Vaticano, da parte sua, non ha mollato e pur riconoscendo i meriti dell’Ordine di Malta impegnato in tante attività di beneficenza nel mondo, il 17 gennaio ha ribadito che «la Santa sede confida nella piena collaborazione di tutti in questa fase così delicata e attende la relazione del suddetto Gruppo (la commissione, ndr) per adottare, in ciò che le compete, le decisioni più opportune per il bene del Sovrano ordine militare di Malta e della Chiesa». Anche se l’Ordine ha reagito in modo sdegnato, Bergoglio non è tipo da lasciarsi impressionare facilmente.

La vicenda dei quattro cardinali con i loro “dubia”, tuttavia, dimostra che il fronte conservatore deve trovare altre strade, diverse da quelle della contrapposizione frontale, su posizioni integraliste, e cominciare a fare i conti con un pontificato che sta, a torto o a ragione, cambiando il volto della Chiesa. In questo senso uomini più accorti sono senz’altro il cardinale André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi, il suo collega di Budapest, Peter Erdo, il cardinale sudafricano Wilfrid Fox Napier, arcivescovo di Durban, o anche il cardinale Angelo Scola, arcivescovo, nei prossimi mesi uscente, di Milano.

PRESTO NUOVE NOMINE. A questi nomi si deve aggiungere un gruppo di porporati nordamericani, a partire dal presidente della conferenza episcopale Usa, il cardinale di Houston, Daniel Di Nardo. La strada è stretta: ma in pratica la corrente conservatrice dovrà fare propri molti dei temi proposti da Bergoglio, soprattutto in campo sociale e nel rapporto fra Paesi poveri e Paesi ricchi, e tentare poi una mediazione forte sul piano dottrinario. Percorso possibile ma non semplice perché, nel frattempo, il papa procederà alla nomina di altri cardinali. Il tempo stringe.

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