Scandali in canonica / Vescovo di Padova si scusi per quel che non ha fatto lui

Monsignor Cipolla ha chiesto perdono ai suoi fedeli per lo scandalo provocato da don Contin. Ma la questione è prima di tutto penale

Eccellentissimo vescovo di Padova, monsignor Claudio Cipolla, non ci siamo, non ci siamo proprio. Lei, riferendosi allo scandalo suscitato da don Andrea Contin, in una lettera ai fedeli ha chiesto perdono «per quelli che, nostri amici, hanno attentato alla credibilità del nostro predicare». A chi scrive, qui non interessa il piano religioso, che è una faccenda fra il pastore e il suo gregge (e i laici dovrebbero piantarla una buona volta di fare i giudici della vita di Chiesa, che è cosa che non li riguarda, così come la Chiesa dovrebbe pensare più alle anime in fuga più che entrare nel merito, come talvolta fa, persino della modalità di voto in parlamento). Se «il male esiste anche nelle chiese come nei singoli credenti», è un problema delle chiese e dei credenti. Ma come cittadini della Repubblica, i credenti, vescovi compresi, hanno obblighi che con la fede non c’entrano nulla, ma con le leggi e il codice sì.

Lei, monsignore, una volta raccolta la testimonianza di una parrocchiana che le ha raccontato fatti di potenziale rilievo giudiziario a carico di un suo sacerdote (minacce, costrizione psicologica, induzione a prostituirsi), sia pur prendendosi il tempo necessario per un minimo di accertamenti, avrebbe dovuto presentarsi in Procura. Non da capo della diocesi padovana: da cittadino, affinché la magistratura verifichi se costituissero reati gli atti compiuti da un altro cittadino. Punto e a capo. L’indagine “previa”, interna alla Curia, dal punto di vista di tutti noi altri uguali di fronte alla legge, può soddisfare il diritto canonico. Ma non quello pubblico.

Lei invece ci ha messo più di sei mesi per ammettere che sapeva. Un po’ tanto, non trova? E ora si scusa non per questo, ma perchè don Contin ha messo in discussione la bontà della fede e delle opere della sua Chiesa. «Altro non possiamo fare che inginocchiarci insieme e invocare aiuto e misericordia dal Signore. Sempre di più». No, altro lo può fare eccome: per lo meno consegnare il fascicolo della sua inchiesta ai carabinieri che stanno conducendo quella penale. Secondo alcune testate giornalistiche, come Rainews e il Fatto Quotidiano, Lei lo avrebbe fatto in questi giorni. Perchè non dichiararlo apertamente, con tutta l’evidenza opportuna?

Su un aspetto Lei ha non ragione, straragione: i giornali ci stanno marciando sopra alla grande, sul succulento caso di un prete da Decamerone, e qualcosa avremo da rimprovarci sicuramente anche noi. Detto che le notizie quando escono vanno date, il vouyeurismo è purtroppo un morbo che ha a che fare con certo puritanesimo (nient’affatto cattolico per definizione) che guasta questa società dove tutto è spettacolo. Se non fossero in piedi le ipotesi di violenza privata e favoreggiamento della prostituzione, delle abitudini sessuali di don Contin e degli altri uomini di Dio non ce ne potrebbe e non ce ne dovrebbe importare di meno. Anzi, dall’esterno ci starebbe pure un’umanissima pietas per quel sessuofobo dovere di castità che da duemila anni regge, bisogna dire mirabilmente, contro ogni principio di salute psicofisica – e contro la prova dei fatti.

Ma qui stiamo parlando di possibili violazioni della legge, e solo di questo. Da un certo punto di vista, possiamo anche capirla, signor vescovo: se dall’alto della Santa Sede non si prescrive di denunciare ai giudici ordinari neppure i sospetti (a volte conclamati) pedofili, perchè Lei avrebbe dovuto andar controcorrente su una vicenda fra adulti? La risposta gliel’abbiamo suggerita. I «provvedimenti disciplinari» (trasferimento? riduzione allo stato laicale?) sono affari vostri. Se invece il cittadino incidentalmente in tonaca commette un reato, è un affare di tutti.
vvox.it

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