«Il vescovo Cipolla doveva denunciare subito don Contin»

“Ho deciso di segnalare con un esposto alla Procura della Repubblica di Padova il comportamento della Curia padovana sul caso di don Andrea Contin». Franco Ravazzolo, di professione consulente del lavoro e presidente veneto dell’Anpit (una piccola associazione di datori di lavoro), è un «fedele cattolico» che andava a messa nella chiesa di San Lazzaro dove era parroco Andrea Contin, accusato di violenza privata e favoreggiamento della prostituzione da una parrocchiana 49enne con cui aveva intrecciato una relazione degenerata, in base al suo racconto e alle prove degli inquirenti, in orge, in annunci su internet, in minacce, in sesso anche con altri preti (uno, non indagato, ha testimoniato), e perfino in una gravidanza e in un figlio. Lo stile di vita del sacerdote, che prima di vestire l’abito talare era stato poliziotto e avvocato, sarebbe stato caratterizzato da un’accentuata promiscuità sessuale (si parla di rapporti con una ventina di donne) e aveva già allertato gli uffici della Diocesi ben sei mesi prima dell’indagine aperta nello scorso dicembre: l’ex amante di Contin aveva denunciato al vescovo Claudio Cipolla la situazione, diventata insostenibile, che secondo i carabinieri potrebbe aver avuto risvolti economici e violenti. Secondo il diritto canonico, era scattata un’indagine interna (“previa”, nel gergo ecclesiastico) tuttora in corso.

Cosa ha fatto la Chiesa in quei sei mesi di inchiesta silenziosa? Secondo l’ex parrocchiano Ravazzolo non ha fatto quel che doveva fare: denunciare i fatti alla magistratura. «Un conto è quel che si dice nel segreto del confessionale», spiega, «un altro è se si viene a sapere fuori dalla confessione. La donna che ha parlato alla Curia non l’ha fatto confessandosi? Allora il prete che l’ha ascoltata doveva informarne l’autorità giudiziaria». A riscontro della sua posizione, Ravazzolo cita «l’articolo 4 dell’accordo Stato-Chiesa del 1984: “Gli ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o ad altra autorità informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza per ragione del loro ministero”. Ma qui il vescovo che è venuto a conoscenza di fatti penalmente rilevanti doveva comportarsi come qualsiasi altro cittadino».

«Quel che mi chiedo», continua, «è perchè le gerarchie ecclesiastiche trovano sempre una scusa per tacere? A me dell’indagine previa non interessa niente, noi cattolici non possiamo essere cittadini di serie B o privilegiati in quanto cattolici: siamo e dobbiamo essere cittadini come tutti gli altri». A quanto risulta la Curia non ha voluto ancora passare il proprio fascicolo ai carabinieri: «deve darlo immediatamente!», sbotta Ravazzolo. Che, sempre «come fedele» (che aveva già smesso di frequentare San Lazzaro, stufo delle «espressioni ereticali sentite più volte», dai tempi del parroco precedente, don Paolo Spoladore, finito alla ribalta per la relazione con una donna) condanna in toto don Contin: «ho sentito parlare di capire, di perdonare. No, il perdono viene solo da Dio, e semmai dalla parte offesa. Dal punto di vista della Chiesa è colpa grave anche l’incontro sessuale in sè: il prete ha fatto promessa solenne di castità». Anche i preti, tuttavia, sono uomini in carne e ossa. «Certo, e hanno debolezze come tutti noi. Ma un conto è comprendere con pietà, un altro è giustificare. Fosse stata almeno solo una, in un rapporto d’amore… qui non c’è nemmeno quello».

Secondo Ravazzolo il problema non sono i preti, «sono i fedeli: si accontentano di sacerdoti che siano simpatici, disponibili, che non rompano troppo sulla morale. Ecco, nell’ottica di un fedele “moderno”, uno come Contin andava bene». Difatti, i suoi ex parrocchiani lo difendono. «Perchè oggi manca totalmente la parte di teologia morale, è rimasta solo quella sociale». Ovvero? «E’ dal Concilio in poi che domina l’approccio pratico e orizzontale, non più dottrinale e morale. Prendiamo proprio la confessione: una volta anche certe fantasie, i “pensieri cattivi”, si dovevano dire e venivano riconosciuti come peccati, e questo ti obbligava a migliorare; oggi il confessore ti guarderebbe male. A lui basta che non commetti qualcosa che disturbi l’ordine sociale. Ci si accontenta, appunto». In una Chiesa meno esigente e più lassista, all’interno di una società scristianizzata, il ruolo del prete è esposto a continue tentazioni: «è solo, non osserva più la preghiera personale (una volta c’era il breviario), non è più separato come un tempo dai laici (una volta portavala tonaca, oggi è indistinguibile da qualsiasi altra persona), e in più le parrocchie sono frequentate da donne più che da uomini, e qual è la chiave migliore per l’accesso all’intimo di una donna? Parlare dei suoi problemi. A meno che uno non sia un santo,non è facile per un prete resistere. Ma se i fedeli fossero in tensione maggiore sulla dottrina e sulla morale, ci sarebbe una difesa in più».

vvox.it

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