Don Milani morì nel giugno 1967. In vista del cinquantenario dalla scomparsa di questa grande e spesso sottovalutata figura umana e spirituale vorremmo suggerire la lettura del lavoro di uno dei primi allievi del sacerdote ed educatore fiorentino, ovvero di Michele Gesualdi.
“Don Lorenzo Milani. L’esilio di Barbiana”: “La grandezza di una vita non si misura dal luogo in cui si è svolta”
Il libro si intitola “Don Lorenzo Milani. L’esilio di Barbiana”, ed è edito da San Paolo. Di un esilio in effetti si tratta. L’esilio di un prete scomodo, di qualcuno che cominciava già a far discutere e pensare, che si riteneva meglio confinare in una remota pieve dell’Appennino, anche se lo stesso card. Dalla Costa aveva scritto in un appunto: “Data la piccolezza del popolo e la posizione scomoda della chiesa, un sacerdote valido a Barbiana non avrebbe lavoro adeguato”. “L’anno della visita pastorale, Barbiana contava 224 abitanti”, commenta Gesualdi, “nel 1954, quando fu mandato parroco don Milani, erano scesi a 127, destinati in poco tempo ad abbassarsi ulteriormente […]. Nel frattempo però il cardinale aveva cambiato opinione”.
Come ha sottolineato in una sua recensione Luca Kocci, “quella scritta da Michele Gesualdi è una biografia atipica del priore di Barbiana. Non ha il rigore storico e documentario di altre ricerche, ma è un racconto in ‘presa diretta’ da parte di quello che è stato uno dei primi sei ragazzi di Barbiana, […] a stretto contatto con don Milani”. In tal modo il racconto scende nel concreto di mille episodi quotidiani, di un vissuto dettato dai tempi lenti della montagna e da quelli veloci dell’azione educativa sui giovani, nonché della capacità del sacerdote toscano di guardare, capire, commentare i fatti del mondo e della Chiesa.
Nel “remoto” dell’esilio, infatti, in quel “piccolo”, prende corpo la prossimità alla vita e la grandezza dello sguardo e dell’impegno di un uomo che giunge, nonostante tutto, a re-inserirsi nel flusso della storia, sconfessando l’esilio stesso, relegandolo sullo sfondo. Perché, come ha notato nella prefazione Andrea Riccardi, “è nel niente di Barbiana […] che si compie il ‘miracolo’ del Milani, [nel] niente che egli ha fatto fiorire e fruttificare, prendendosi cura degli esclusi e degli emarginati. Barbiana [diviene] un simbolo, nonostante la sua piccolezza. Un simbolo su cui converrebbe interrogarsi di più. La dimostrazione di quanto, in condizioni impossibili, possono fare un uomo o una donna che amano e lavorano per gli altri”.
Perché, come il priore stesso scrisse alla madre: “La grandezza di una vita non si misura dalla grandezza del luogo in cui si è svolta, ma da tutt’altre cose. E neanche le possibilità di fare del bene si misurano dal numero dei parrocchiani”.
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