La situazione delle popolazioni indigene del Brasile è ancora drammatica

Brasile

Drammatico rapporto del Consiglio indigenista missionario sulle comunità del Mato Grosso do Sul. Violenze nel silenzio

L’Osservatore Romano

La situazione delle popolazioni indigene del Brasile è ancora drammatica: è quanto afferma il rapporto «Violenza contro i popoli indigeni in Brasile», un dossier di 172 pagine pubblicato dal Consiglio indigenista missionario (Cimi) del Brasile, organismo che fa capo alla Conferenza episcopale.
I dati mostrano che nel 2015 è rimasta purtroppo costante l’occupazione e la devastazione delle terre appartenenti alle comunità indigene. In particolare, si richiama l’attenzione sull’aumento degli attacchi contro i campi delle comunità Guarani e Kaiowá, nel Mato Grosso do Sul.Il presidente del Cimi, l’arcivescovo di Porto Velho, monsignor Roque Paloschi, presentando il rapporto, ha rivolto una domanda appello ai numerosi presenti: «Perché si ripetono le stesse pratiche criminali — ha detto il presule — senza che vengano adottate misure effettive? Fino a quando dobbiamo presentare questo tipo di rapporti?».
Nel documento si sottolinea quanto poco si sia fatto per regolarizzare lo status delle terre indigene. Secondo la Costituzione federale, tutte le terre indigene tradizionali avrebbero infatti dovuto essere delimitata già nel 1993, cinque anni dopo la promulgazione della Carta fondamentale. Tuttavia, secondo l’indagine del Cimi, al 31 agosto 2016, 654 territori indigeni in Brasile erano ancora in attesa di atti amministrativi dello Stato per avviare i processi di demarcazione. Tale numero corrisponde al 58,7 per cento del totale delle 1113 terre indigene nel Paese.
Un altro capitolo è quello della violenza e dei crimini commessi sugli indigeni. Secondo i dati ufficiali della Segreteria speciale di sanità indigena (Sesai) e del distretto sanitario indigeno del Mato Grosso do Sul (Dsei-Ms) nel periodo preso in esame ci sono stati centotrentasette omicidi in tutto il Paese.
Sradicamento, violenze, perdita di identità conducono in alcuni casi a gesti estremi: degli ottantasette casi di suicidio che si sono verificati in Brasile, quarantacinque si sono verificati nel Mato Grosso do Sul, soprattutto tra i Guarani e i Kaiowá. Solo in questo Stato, tra il 2000 e il 2015 sono stati registrati 752 casi di suicidio. Un recente studio condotto dal Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef) e dal Gruppo di lavoro internazionale per gli affari indigeni (Iwgia) sui gruppi di etnia Guarani e Kaiowá, afferma che i giovani indios portano in sé un trauma originato dalle vicende raccontate dai loro genitori: storie di sfruttamento, violenza, morte e perdita della dignità umana.
Il rapporto considera anche i dati parziali della mortalità infantile indigena: le tre principali cause di morte sono state polmonite (8,2 per cento), diarrea e gastroenterite di origine infettiva (7 per cento). Tutte patologie che potrebbero essere curate senza gravi difficoltà.
Di recente, anche il Consiglio per la pastorale dei pescatori (Cpp), legato alla Commissione episcopale per la pastorale del servizio della carità, giustizia e pace, ha presentato un rapporto sui «Conflitti sociali-ambientali e violazioni dei diritti umani nelle comunità tradizionali di pesca in Brasile». Lo studio, oltre ad analizzare le cause dei conflitti, getta anche luce sulle strategie organizzate dalle comunità per affermare i loro diritti. «Questo rapporto — ha sottolineato il presidente della Commissione, padre Olavio Dotto — è importante perché dà visibilità e denuncia i casi di violazioni dei diritti umani, sociali, ambientali e culturali, e al tempo stesso alimenta la lotta in difesa dei territori delle comunità dei pescatori».
La pubblicazione contiene una preziosa raccolta di informazioni sulle violenze subite dalle comunità di piccoli pescatori che operano tanto nelle acque interne quanto lungo la costa brasiliana.
L’Osservatore Romano, 24-25 settembre 2016

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