Un altro prete rapito dai narcos. Paura dopo l’assassinio di due sacerdoti. L’ arcivescovo: «Non fategli del male»

Avvenire
(Lucia Capuzzi) «Prego Dio che lo lascino in vita». «E soprattutto imploro il Signore di concederci la pace» e «la conversione di chi commette il male». È un appello accorato quello diffuso su You-Tube dall’ arcivescovo di Morelia, il cardinale Alberto Suárez Inda. Il viso dell’ anziano pastore è stanco e addolorato. Il momento è tragico. Il sacerdote José Alfredo López Guillén, parroco della comunità di Janamuato, in Michoacán, è scomparso. Lunedì – ma la notizia è stata data ieri – sconosciuti hanno saccheggiato la sua casa e l’ hanno portato via insieme a un ragazzino di 16 anni. Nelle stesse ore, a Poza Rica de Hidalgo, nello Stato di Veracruz, venivano assassinati i preti Alejo Jiménez e Alfredo Suárez. «Dopo aver condiviso il dolore» per la loro perdita – afferma il cardinale Suárez Inda nel video con cui ha denunciato il rapimento – ora «soffriamo sulla nostra pelle» il «sequestro di uno dei nostri preti». Una strage. Nel quadro del massacro generale che, nel silenzio di gran parte dell’ opinione pubblica internazionale, dissangua il Messico ormai da dieci anni. Un conflitto invisibile che fa 60 morti al giorno, secondo gli ultimi dati del governo. Solo ad agosto, sono state massacrate 2.147 persone. Con ormai 300mila vittime in un decennio, il Messico è una delle tessere più cruente della “terza guerra mondiale a pezzi” di cui più volte ha parlato papa Francesco. Per tale ragione, quattro giorni fa, all’ incontro di Assisi per la pace organizzato dalla Comunità di Sant’ Egidio, i leader religiosi mondiali hanno pregato espressamente per il Paese. E, lo scorso febbraio, Francesco ha scelto di percorrerne le zone più cruente. Tra queste, proprio il Michoacán, il terzo Stato per livello di violenza con 920 omicidi nei primi otto mesi dell’ anno. È difficile sintetizzare la complessità del conflitto messicano in cui si fondono più livelli. Ci sono i gruppi criminali che si scontrano fra loro per l’ egemonia delle rotte del narcotraffico. Oltre che di ampie porzioni di territorio su cui realizzare vari tipi di business illeciti: estorsioni, commercio di esseri umani, prostituzione. I narcos, però, non potrebbero agire impuniti se – come rilevano i principali esperti – non godessero di un’ ampia rete di protezione all’ interno delle istituzioni. Interi pezzi di Stato sono al servizio di una mafia e combattono per questa contro la banda rivale. A farne le spese sono i cittadini, indifesi di fronte allo strapotere del crimine. Sacerdoti e religiosi sono spesso l’ unica voce che si alza per tutelare la popolazione. Specie nelle comunità più remote. Da ciò deriva l’ accanimento dei narcos contro la Chiesa. Dalla fine del 2012, secondo il Centro cattolico multimediale, sono stati uccisi 14 preti e due laici, altri due sacerdoti sono desaparecidos. Per il settimo anno consecutivo, dunque, il Paese si conferma il più pericoloso dell’ America Latina per svolgere il ministero sacerdotale. Un paradosso per una delle nazioni con più cattolici al mondo. A spiegarlo, sono le “regole” perverse della narcoguerra. I pastori – proprio come gli attivisti e i giornalisti – sono scomodi per le mafie. Pertanto devono essere eliminati. Non solo. Spesso, come nel caso dei due preti di Poza Rica, si cerca di camuffare il crimine, facendolo passare per rissa o tentativo di furto o odio personale. Su padre López Guillén, le autorità hanno detto di avere ben pochi elementi. Il governatore, Silvano Aureoles, ha dichiarato che, prima della scomparsa, il sacerdote era insieme a un giovane di 16 anni. I due avrebbero comprato qualcosa da mangiare. Poi, entrambi, sono svaniti nel nulla. O, meglio, nei meandri feroci della narcoguerra.

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