Torniamo oggi ad Assisi a pregare per la pace insieme agli uomini delle altre religioni. Ma con la consapevolezza che occorre anche un passo in più

L’altro giorno su questo sito l’amico Christian Albini si domandava perché oggi tornare ad Assisi. E spiegava bene il motivo per cui è quanto mai urgente rideclinare l’intuizione avuta trent’anni fa da Giovanni Paolo II e che oggi papa Francesco – insieme al patriarca Bartolomeo al primate anglicano Justin Welby e ai leader di tante altre confessioni religiose – rilanciano chiedendo a tutti di pregare per la pace.

Spero però che non me ne vorranno gli amici della Comunità di Sant’Egidio se in questa giornata mi permetto di lanciare una piccola provocazione. Mi chiedo infatti lo stesso se oggi – proprio a causa dell’urgenza che il tema della pace ha assunto in questo nostro tempo – basti ancora ripetere lo stesso schema. Per esempio se di fornte a una notte drammatica come quella che ha appena vissuto Aleppo – con le tenui speranze suscitate da un cessate il fuoco fragile, subito soffocate di nuovo da una pioggia di fuoco – bastino ancora i panel, i discorsi, le dichiarazioni che scandiscono questo appuntamento.

Lo dico senza nessun intento denigratorio: ho partecipato a tanti di questi incontri, ho ascoltato e conosciuto lì voci importanti, sono assolutamente convinto che tutto questo serva. E poi lo so che il cuore dell’evento è lo sguardo rivolto verso l’alto in preghiera; e che quella non può essere misurata con il nostro sguardo.

Però ugualmente mi chiedo se – come per gli alberi che a un certo punto, se si vuole che continuino a crescere, hanno bisogno di un innesto – non occorra oggi andare oltre la semplice rievocazione e chiedere un passo in più anche agli uomini delle religioni che si incontrano per invocare la pace.

Provo con questo spirito a lanciare due idee. La prima: c’è una cosa che mi stupisce sempre un po’ quando si rievoca il 27 ottobre 1986. Tutti ricordano sempre la preghiera per la pace convocata da Giovanni Paolo II; ma quel giorno Wojtyla chiese anche un altro gesto: domandò a tutti – e ai leader religiosi in primis – di accompagnare l’invocazione con il digiuno. Non era un fatto da poco: pochi gesti come il digiuno accomunano le diverse tradizioni religiose. E pochi gesti come il digiuno esprimono l’idea che la conversione personale è il primo passo per costruire la pace. Perché allora il digiuno lo abbiamo lasciato cadere? E non è che lasciandolo cadere abbiamo perso un ingrediente importante dello spirito di Assisi? Non è che è diventato un posto per far vedere quanto sono buone le religioni anziché un’occasione per ricordare che la pace richiede fatica ed è una fatica che chiama in causa ciascuno di noi?

È bello che i leader religiosi – come succederà oggi ad Assisi – si trovino insieme intorno a una stessa tavola, alla presenza anche di alcune persone che fuggono dalle guerre; ma non sarebbe un gesto più forte, e anche profondamente politico nel mondo di oggi, se in questo giorno proprio – come nel 1986 – digiunassero insieme?

Seconda idea: lo spirito di Assisi è importante. Ma in questo 2016 scandito dal Giubileo della misericordia c’è stato un altro momento ecumenico che dobbiamo custodire: la visita di papa Francesco insieme al patriarca Bartolomeo e all’arcivescovo ortodosso di Atene Christoduolos a Lesbo, l’isola dei migranti. Sono andati insieme nel campo profughi di Moria che proprio stanotte ha vissuto il dramma di un incendio, dopo una giornata di nuove tensioni accompagnata dalla protesta dei migranti e da una contro-manifestazione della destra nazionalista greca.

La Comunità di Sant’Egidio lo sa benissimo: oltre allo spirito di Assisi oggi c’è anche uno spirito di Lesbo da custodire. Per questo è nata l’iniziativa dei Corridoi umanitari. E per questo una donna di Aleppo arrivata in Italia grazie a questa iniziativa oggi parlerà nella cerimonia conclusiva prima del Papa.

Ma anche in questo caso mi chiedo: bastano le parole? Perché non pensare anche a un’opera di misericordia vissuta insieme dagli uomini delle religioni riuniti ad Assisi? Non sarebbe un esempio fortissimo di unità? Non sarebbe un modo per riconsocere insieme che è solo la misericordia vissuta comunitariamente a trasformare noi stessi e – di conseguenza – anche il mondo?

Lo confesso: sogno un’edizione 2017 di Uomini e religioni un po’ diversa: saltiamo per un anno i venti panel in cui ciascuno pronuncia il proprio discorso; sostituiamoli con venti luoghi di una grande città dove leader religiosi, intellettuali, uomini di governo provano a vivere insieme la misericordia. Invitando chiunque lo desideri a unirsi a loro, magari organizzando qualcosa di simile nella propria città.

Lo spirito di Assisi e lo spirito di Lesbo insieme. Proviamo a pensarci?

vinonuovo.it

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