Da motivo di scontro a terreno d’intesa con i luterani. Cristo nostra giustizia

Giustificazione. Pubblichiamo quasi per intero la voce Giustificazione scritta dal presidente dell’Istituto Paolo VI e contenuta in “Peccato, misericordia, riconciliazione. Dizionario teologico-pastorale” a cura della Penitenzieria apostolica (Città del Vaticano, Libreria editrice vaticana, 2016, pagine 425, euro 28).

(Angelo Mafferis) Il termine “giustificazione” — salvo rare eccezioni — non appartiene al novero delle parole più comuni nel linguaggio parlato dai fedeli cristiani. È avvertito piuttosto come concetto proprio del linguaggio tecnico della teologia ed evoca antiche dispute che, a partire dal XVI secolo, hanno segnato la storia della Chiesa e hanno contribuito a determinare la separazione tra la Chiesa romana e le comunità protestanti.
Se le controversie storiche sviluppatesi attorno alla dottrina della giustificazione sono universalmente note, non solo per i semplici fedeli, ma anche per molti teologi risulta piuttosto difficile stabilire con esattezza quali siano oggi i punti di dissenso tra la Chiesa cattolica e le comunità luterane. I concetti di giustificazione e di giustizia (da cui il primo deriva) sono diventati per molti aspetti estranei al linguaggio religioso e sembrano di pertinenza dell’ambito politico o giudiziario più che espressione del rapporto con Dio e della possibilità di ricevere salvezza da lui.
Non era così alle origini del cristianesimo. Riprendendo la tradizione anticotestamentaria, l’apostolo Paolo ricorre al concetto di giustizia per formulare il centro dell’annuncio cristiano e per esprimere l’origine e l’efficacia della salvezza donata da Dio al mondo in Gesù Cristo. «Io infatti non mi vergogno del vangelo — afferma l’apostolo — poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco. È in esso che si rivela la giustizia di Dio, di fede in fede, come sta scritto: Il giusto vivrà mediante la fede» (Romani, 1, 16-17). E nel capitolo 3 della stessa lettera, dopo aver descritto il fallimento sia dei pagani che degli ebrei, ritorna con forza sul tema della giustizia: «Ora invece, indipendentemente dalla legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla legge e dai profeti; giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. E non c’è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù». (Romani, 3, 21-24). Il vangelo proclamato dall’apostolo Paolo e la riflessione sulla giustizia di Dio che perdona e rende giusto il peccatore da lui proposta nelle sue lettere costituiscono la norma e l’ovvio punto di riferimento di tutta la riflessione e la discussione successiva. Nella tradizione ecclesiale assume un rilievo particolare la dottrina del peccato e della grazia formulata da Agostino. Egli mette in luce la profondità delle conseguenze del peccato di Adamo per tutta l’umanità e la conseguente incapacità della volontà umana ferita dal peccato di compiere il bene. Solo l’aiuto della grazia di Dio che agisce nell’intimo può guarire la volontà umana, convertire il peccatore e permettergli di perseverare nella via del bene. Agostino è il maestro indiscusso della tradizione occidentale, ma la sua eredità è stata recepita in modi diversi e nei secoli successivi è stata al centro di ripetute controversie. In epoca medievale la teologia scolastica ha raccolto la dottrina agostiniana sul peccato e sulla grazia e l’ha sviluppata nel quadro di una visione della creatura umana voluta libera dal Creatore e che la grazia di Dio perdona e salva, abilitando la libertà ad accogliere e a rispondere al dono di Dio. La grazia di Dio, secondo i maestri scolastici, può essere pensata come habitus, cioè come una perfezione e un’abilità permanente donata da Dio alla creatura che la rende capace di compiere il bene e di agire in modo da meritare la vita eterna.
Nel suo lavoro esegetico Martin Lutero riconosce la centralità dell’idea paolina della giustizia di Dio e della giustificazione del peccatore nel messaggio neotestamentario e matura la convinzione che la teologia scolastica del suo tempo abbia dimenticato l’insegnamento di Paolo e di Agostino e sia caduta nell’errore pelagiano che attribuisce indebitamente alla creatura umana la capacità di rialzarsi dalla condizione di peccato in cui si trova e di contribuire alla propria salvezza. Ciò per Lutero è impossibile a motivo della profondità del guasto che il peccato ha prodotto in tutti i figli di Adamo. L’uomo schiavo del peccato non è in grado di adempiere quanto prescrivono i comandamenti divini e gli è quindi preclusa ogni possibilità di raggiungere una giustizia che abbia valore davanti a Dio. Non c’è dunque salvezza che possa venire dalla creatura o da realtà create quali l’habitus, ma la salvezza proviene solo da Dio il quale imputa al peccatore la giustizia perfetta di Cristo e non considera il suo peccato come motivo di condanna. La giustizia imputata non può dunque essere pensata come una qualità che inerisca all’uomo, ma rimane “esterna” e “aliena”, come Lutero dichiara all’inizio del commento alla lettera ai Romani: «Dio infatti non ci vuole salvare mediante la nostra propria giustizia e sapienza, ma per mezzo di una giustizia e di una sapienza che provengono dall’esterno (non per domesticam, sed per extraneam iustitiam); non mediante una giustizia che derivi e nasca da noi, ma per mezzo di quella che viene a noi provenendo da un altro luogo; non mediante quella che germina dalla nostra terra, ma mediante la giustizia che viene dal cielo».
Le tesi di Lutero sono state al centro di un dibattito teologico acceso ingaggiato dai teologi controversisti che difendevano la legittimità della tradizione teologica medievale e denunciavano il pericolo di una concezione della giustificazione che rimane esterna alla creatura umana e non è in grado di cambiarla realmente. È però con il concilio di Trento che avviene la precisazione ufficiale della dottrina cattolica. Il decreto sulla giustificazione pubblicato nella sessione vi del concilio (13 gennaio 1547) contiene un’esposizione positiva della comprensione cattolica della giustificazione e una presa di distanza dalle posizioni protestanti, condannate nei canoni. La definizione della giustificazione come «il passaggio dallo stato in cui l’uomo nasce figlio del primo Adamo allo stato di grazia e di adozione dei figli di Dio per mezzo del secondo Adamo» mostra che il decreto intende affermare il carattere reale della trasformazione operata nella persona dalla grazia giustificante e l’insufficienza di una concezione della giustizia che rimanga estrinseca rispetto al giustificato.
Un secondo accento posto dal Tridentino è relativo al significato della libera risposta umana alla giustificazione. A tale proposito il decreto ribadisce la convinzione maturata nella controversia semipelagiana secondo cui l’inizio della conversione è opera della grazia preveniente di Dio, ma al tempo stesso sottolinea che la grazia suscita un assenso libero e la cooperazione della persona, così che «mentre Dio tocca il cuore dell’uomo con l’illuminazione dello Spirito santo, l’uomo stesso non rimane inattivo». La riaffermazione del ruolo spettante alla libertà nella giustificazione non implica tuttavia una ricaduta nella posizione pelagiana. Per il concilio di Trento l’insegnamento agostiniano ratificato nel concilio di Cartagine (418) costituisce un pilastro indiscutibile della dottrina della giustificazione, riaffermato fin dall’inizio del decreto conciliare, richiamandosi alla dottrina sul peccato originale definita nella sessione v. «Il santo sinodo dichiara anzitutto che, per comprendere in modo adeguato ed esatto la dottrina della giustificazione, ognuno deve riconoscere e confessare che tutti gli uomini, avendo perduto l’innocenza per la prevaricazione di Adamo erano schiavi del peccato e sotto il potere del diavolo e della morte a tal punto che non soltanto i gentili attraverso la forza della natura, ma neppure i giudei per mezzo della lettera della Legge di Mosè, potevano essere liberati e rialzarsi, benché in essi il libero arbitrio non fosse affatto estinto, ma solo attenuato e indebolito».
«Con il concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica si è impegnata in modo irreversibile a percorrere la via della ricerca ecumenica, ponendosi così all’ascolto dello Spirito del Signore, che insegna come leggere attentamente i “segni dei tempi”»: così si esprime Giovanni Paolo II nel n. 3 dell’enciclica Ut unum sint (1995). Il dialogo teologico con le chiese sorte dalla Riforma è stato uno dei modi in cui il mandato conciliare ha trovato attuazione. Tra i temi discussi con i rappresentanti delle comunità luterane non poteva ovviamente mancare la dottrina della giustificazione che è stata approfondita da diverse commissioni di dialogo e sotto differenti punti di vista (biblico, storico-dogmatico, teologico). Il dialogo tra cattolici e luterani ha raggiunto un importante traguardo il 31 ottobre 1999 ad Augsburg con la firma da parte dei rappresentanti della Chiesa cattolica e della Federazione luterana mondiale della Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione. Il documento intendeva riassumere i risultati positivi raggiunti dal dialogo ecumenico nei decenni precedenti per sottoporli al giudizio delle autorità ecclesiali cattoliche e luterane che, dopo un ampio e rigoroso esame, hanno ratificato ufficialmente la Dichiarazione. L’affermazione centrale del documento è che cattolici e luterani sono in grado di professare insieme la loro fede nella giustificazione donata da Dio all’umanità e, su questa base, le differenti interpretazioni dottrinali sviluppate dalle tradizioni cattolica e luterana possono essere riconosciute come compatibili. Si può dunque affermare che gli anatemi contenuti nei decreti del concilio di Trento e negli scritti confessionali luterani non definiscono completamente quanto oggi luterani e cattolici professano circa la dottrina della giustificazione. Il consenso di base sul significato della giustificazione è formulato nel documento in questi termini: «Insieme crediamo che la giustificazione è opera del Dio uno e trino. Il Padre ha mandato nel mondo il suo Figlio per la salvezza dei peccatori. L’incarnazione, morte e risurrezione di Cristo sono il fondamento e il presupposto della giustificazione. Perciò la giustificazione significa che Cristo stesso è la nostra giustizia, alla quale partecipiamo, secondo la volontà del Padre, attraverso lo Spirito santo. Insieme confessiamo che solo per grazia nella fede nell’azione salvifica di Cristo, e non in base ai nostri meriti, noi veniamo accettati da Dio e riceviamo lo Spirito santo, il quale rinnova nostri cuori e ci abilita e chiama a compiere le opere buone» (n. 15).
Il lavoro teologico che ha trovato la sua conclusione ufficiale con la sottoscrizione della Dichiarazione congiunta è di indubbia importanza, ma è stato rivolto essenzialmente al passato. Esso ha contribuito a sgombrare il terreno da controversie secolari, creando così le condizioni per dedicarsi alla ricerca di un linguaggio adeguato e convincente per annunciare la salvezza in Cristo all’umanità di oggi. La dottrina della giustificazione infatti proprio di questo parla e non può essere considerata questione che interessi solo i teologi. L’insegnamento dell’apostolo Paolo sulla giustizia di Dio che rende giusto il peccatore ricorda anzitutto che l’antropologia cristiana non è riducibile a un ideale al quale i credenti sono chiamati a conformarsi attraverso uno sforzo etico coerente e rigoroso, ma trova il suo fondamento e il suo asse portante nell’accoglienza di un “dono” che Dio concede gratuitamente — e può perciò essere definito “grazia” — all’umanità e grazie al quale ogni essere umano può conseguire il compimento al quale aspira. La dottrina della giustificazione ricorda inoltre che per un’umanità la cui storia è segnata dall’eredità del peccato di Adamo e per i singoli esseri umani che compiono personalmente il male, il dono di Dio assume sempre la forma di “perdono”, di vittoria sul male subito e fatto dall’uomo, di rinnovamento e di restituzione alla condizione di giustizia che corrisponde al progetto di Dio.
L’Osservatore Romano, 20-21 agosto 2016

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