L’inesauribile ricchezza delle donne bibliche

Angelo o demonio? Musa o tentatrice? Il dualismo ha accompagnato la figura femminile lungo i secoli non tanto nel sentire comune popolare quanto piuttosto nella letteratura, nella filosofia e anche (meglio non dimenticarlo) nella teologia.

Il motivo – sono in molti a concordare – sarebbe da ricercarsi proprio nel racconto biblico sulla prima coppia nell’Eden o, meglio, nella sua esegesi non sempre corretta per cui la «povera» Eva è stata identificata forse un po’ troppo frettolosamente come colei che avrebbe trascinato il suo lui nel peccato. Mela o frutto che sia, fiumi di parole sono state scritte a proposito e sproposito (e molte credute!) riguardo alla sua figura di donna contrapposta a quella di Maria che i Padri della Chiesa vedono piuttosto come la nuova Eva, non toccata dal peccato, madre dei viventi secondo lo spirito.

Ma cosa dice davvero la Bibbia della donna, come racconta la sua presenza all’interno della creazione e dell’intera storia? In altre parole: esiste forse una storia della salvezza al femminile o piuttosto una lettura al femminile della Scrittura?

Se teologhe e bibliste si sono cimentate in questi ultimi decenni nell’impresa di decodificare la figura femminile quale emerge dalla Bibbia – tra le tante due religiose come Selene Zorzi o Elena Bosetti – questa volta è una scrittrice e poetessa a offrire le sue riflessioni in un testo fresco di stampa per le Edizioni del Messaggero di Padova: Maria Luisa Eguez, insegnante di lettere, nata a la Spezia nel 1951, fondatrice nel 1980 del premio letterario «Lerici Golfo dei Poeti», già autrice di alcuni saggi, come «Le donne di Gesù. Figure femminili del Nuovo Testamento» (Emp 2013) e «Santità al femminile. Donne determinate e forti» (Paoline 2013).

Illuminante il sottotitolo – «Divinizzazione e demonizzazione della donna nella Bibbia» – per indicare fin dalle prime battute le sue intenzioni: l’ambivalenza caratterizza la figura femminile nel dato biblico, ma chi ha detto che non se ne possa uscire? È forse utopia disegnare un’immagine più realistica e, soprattutto, unitaria della donna oggi?

Da Eva fiano a Maria sono storie d’amore e tradimenti quelle raccontate, quasi decodificate, dall’Autrice a partire dalla Parola, spesso letta nella lingua originale così densa di sfumature. Donne conosciute, come Noemi o Ruth, Anna o Sara, Giuditta o Ester, Susanna o Gomer, Oolà e Ooliba o Dalila, e tante senza nome, volto, tempo, perché semplicemente designate come «moglie di», «figlia di», una «nullità» che rivela tutta la cultura dell’epoca, donne felici o tristi, come quelle donne gravate dal dramma della sterilità. Donne di cui si conosce solo una generica provenienza come le «moabite, ammonite, edomite, sidōnie e ittite, provenienti dai popoli di cui aveva detto il Signore agli Israeliti: “Non andate da loro ed essi non vengano da voi, perché certo faranno deviare i vostri cuori dietro i loro dèi”. Salomone si legò a loro per amore. Aveva settecento principesse per mogli e trecento concubine» (1Re 11,1-2).

Originale la riflessione riguardo alla «donna ideale» in riferimento al Libro dei Proverbi: «La donna angelicata è quella che vive nell’immaginario maschile, che risponde ai suoi bisogni, che proietta di sé una visione rassicurante e appagante. Non è intrusiva, non produce conflitti. Sul piano etico può essere un modello di perfezione a cui tendere, certo, ma è un’icona che non è generata da lei, che non tiene conto del suo specifico, ma solo del ruolo concessole (o assegnatole oppure impostole) all’interno di un costrutto sociale pensato, voluto e realizzato al maschile. Tant’è vero che non ne esiste il corrispettivo in un ritratto dell’uomo ideale descritto da mano femminile. L’uomo ideale è delineato a partire dal suo rapporto con la Torah e Dio ed è tratteggiato da un’altra mano, ma sempre maschile».

Non potevano mancare le «donne di Paolo», in particolare riguardo alla Lettera ai Romani («Su una trentina di persone che Paolo nomina dieci sono donne, attive nelle chiese di Cristo. Febe è definita come adelphèn, sorella, diàkonon, diacono e prostàtis, protettrice: indubbiamente una figura fondamentale nella comunità di Cencre») anche in riferimento al sevizio (diakonìa) all’interno della prima comunità.

L’insegnante di lettere si muove nel finale con disinvoltura fra Dante e Petrarca, ma ciò che le sta a cuore è quell’andare «al di là di quei numerosi “luoghi comuni, alcuni anche offensivi, sulla donna tentatrice”, ricapitolati in Eva, di cui parlava papa Francesco e di cui neanche gli scritti dei Padri della Chiesa sono immuni» per una riflessione generale: «Eva è una figura mitologica, Miriam è una persona in carne e ossa. Eva, come Adamo, rappresenta il lato fragile, contraddittorio dell’essere umano, la sua limitatezza, la sua opacità allo stadio primordiale del cammino spirituale, l’inevitabilità della caduta. È una creatura, come tutti noi, capace allo stesso tempo d’innocenza e colpevolezza, ingenuità e malizia, speranza e disperazione; porta in sé il dualismo bene/male, vita/morte. Maria, come Gesù, è l’essere umano quale Dio l’ha sognato, desiderato, concepito. Madre e Figlio sono il palpitante, eterno frutto della paternità/maternità divina pienamente realizzata».

Maria Luisa Eguez «I due volti di Eva. Divinizzazione e demonizzazione della donna nella Bibbia», Edizioni Messaggero Padova 2016 pp. 208, € 15,00.

vaticaninsider

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