Centro romano della Chiesa ostile al cambiamento anche sui preti sposati

Tra i propositi ben noti e largamente condivisi fin dall’inizio del pontificato di papa Francesco vi è la riforma della Curia vaticana. Di ciò si parla poco. La forte immagine e la linea pastorale di questo papa nascondono o lasciano in secondo piano il funzionamento della struttura centrale della Chiesa e il problema urgente di come modificarla. Per ragionare sulla questione bisogna essere informati sugli organi centrali, cosa non difficile almeno in prima approssimazione. Notizie si trovano online e sull’Annuario Pontificio. Nell’opinione cattolica spesso non si ha consapevolezza delle dimensioni della Curia. Le Congregazioni sono nove, i Pontifici Consigli sono dodici, le Pontificie Commissioni sono sei, le Accademie pontificie sono undici, i Tribunali sono tre oltre alle istituzioni collegate che sono quattordici (tra le quali tutto il sistema della comunicazione). Poi c’è il Sinodo dei vescovi e la Segreteria di Stato, dalla quale dipendono le rappresentanze pontificie presso gli stati che sono 178 mentre 35 sono le organizzazioni internazionale nelle quali la S. Sede è presente a vario titolo.

In controtendenza rispetto allo spirito del Concilio, le strutture della Curia negli ultimi cinquanta anni sono diventate più numerose e consistenti, soprattutto con l’istituzione di nuovi Pontifici Consigli (tra questi, il più recente e il più inutile è quello sulla Nuova Evangelizzazione, voluto da papa Benedetto XVI e diretto da mons. Fisichella). E’ opinione comune che esse gestiscano in modo centralizzato e autoritario, come prima del Concilio ma forse più di prima, la vita delle Chiese locali. Il “National Catholic Reporter” sostiene – ci sembra a ragione – che c’è una continua emanazione di direttive, di documenti, di esortazioni, di prescrizioni che inondano le strutture ecclesiastiche nel mondo. Con papa Francesco però – sostiene il prestigioso settimanale nordamericano – i documenti sono meno numerosi e il ruolo della Congregazione per la Dottrina della Fede sarebbe stato ridotto. Esso è guidato dal numero uno dei vescovi ostili alla linea di papa Francesco, il Card. Gerhard Müller, che è stato nominato nell’estate del 2012 quando Benedetto XVI probabilmente aveva già deciso di dimettersi e – si suppone – volesse lasciare suoi uomini di fiducia nei posti chiave.

Papa Francesco ha voluto circondarsi del C9, il gruppo dei nove Cardinali, scelti da ogni continente per progettare la riforma della Curia. Dopo tre anni e quindici lunghi incontri i risultati sono del tutto inferiori alle attese, non solo per la lentezza delle decisioni, ma anche per le caratteristiche di quelle fino ad ora adottate. La forte presenza della Parola di Gesù nei messaggi di papa Francesco ci sembra piuttosto debole o addirittura assente nei casi, poco frequenti, in cui egli parla della riforma della Curia. In assenza di una spinta di papa Francesco rimangono sul tappeto questioni di fondo da definire, anzitutto se la Curia debba essere un servizio evangelico alle Chiese locali e ai vescovi oppure una struttura burocratica dove i vescovi si sentono spesso non capiti da supponenti monsignori di curia (cosa di cui si lamentano molti e che capitò più volte a Mons. Romero). Si tratta di sapere se ha ragione, per esempio, un vescovo della estrema periferia della Chiesa che ha detto: “noi siamo trattati come filiali di una multinazionale” (Mons. Bonino di Tacuarembò, Uruguay). Di queste grandi questioni non si parla.

La linea che si sta tacitamente affermando è invece quella della riorganizzazione, degli accorpamenti, delle semplificazioni. Tutto qui! È la logica che vuole evitare conflitti di competenza, che vuole stabilire meglio le gerarchie ed evitare la dispersione di energie. Dapprima tutti i nove servizi di informazione sono stati aggregati sotto la nuova Segreteria per la comunicazione. Ora, lo scorso 4 giugno, è stato costituito il “Dicastero (nuova terminologia) per i Laici, la Famiglia e la Vita”, che unifica due Pontifici Consigli e allarga le sue competenze alla “vita” (senza che ciò significhi l’assorbimento della Pontificia Accademia per la Vita, in cui, sia detto per inciso, tra i venticinque membri italiani le donne sono solo tre!). Lo Statuto di questo Dicastero prevede tre sezioni per le tre competenze e dice che avrà tra i propri membri “fedeli laici, uomini e donne, celibi e coniugati, impegnati nei diversi campi di attività e provenienti dalle diverse parti del mondo”. Staremo a vedere. Per ora il Consiglio dei Laici ha meno di un terzo di donne tra i propri membri. Non condividiamo la volontà di continuare a organizzare i “laici” come categoria separata, accettata ed organizzata dall’esterno e mai protagonista, per di più con una particolare sottocategoria costituita dalle donne. Un altro grande accorpamento è in dirittura d’arrivo, quello del nuovo Dicastero “Carità, Giustizia e Pace” per unificare quattro Pontifici Consigli (Giustizia e Pace, Cor Unum, Pastorale della salute, Migranti e Itineranti). La riforma di tutte le strutture di gestione delle risorse (IOR, APSA ecc… che pure fanno parte della Curia), per quello che si riesce a capire, è quella dove invece è possibile aspettarsi risultati positivi dall’azione di riforma e di pulizia di papa Francesco.

Ci pare che, con un centro romano della Chiesa ostile al cambiamento e convinto, nella sua maggioranza, di essere da solo il portavoce dello Spirito Santo, manchi un progetto generale per la riforma della Curia che sia coerente con lo spirito e la lettera del Concilio Vaticano II sul Popolo di Dio. La stessa volontà di papa Francesco di andare nella direzione della sinodalità è agli inizi e merita un salto di qualità urgente se pensiamo alla non condivisibile composizione degli ultimi due sinodi, con i laici e le donne ridotti a fare da comparse. Secondo noi, la riforma della Curia dovrebbe fondarsi su due pilastri: ridurre le strutture del Vaticano e decentrare le competenze alla periferia della Chiesa. Del decentramento alle Conferenze episcopali pare se ne sia parlato, a quanto ha riferito il portavoce vaticano padre Federico Lombardi, ma, per ora, non vi è niente né di chiaro né tantomeno di definito. Questa del decentramento è la questione centrale. Alcune proposte, elaborate “dal basso”, ci sono già, anche noi cercheremo di fare proposte concrete. Per ora ci sembra che non si stia andando nella direzione giusta, c’è anzi la concreta possibilità di “cambiare tutto perché nulla cambi”. Non pensiamo che la riforma sia una cosa facile, ma pensiamo che essa sia necessaria e urgente se la nostra Chiesa vuole mantenere le sue caratteristiche di universalità condivisa e plurale, garantite per quanto riguarda la sua unità dal ministero del Vescovo di Roma.

fonte: cdbitalia.it

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