Unì i poveri, divise la Chiesa: don Zeno “il prete visionario”

Nella sua espansione urbanistica, dopo l’abbattimento delle mura sulla scia di quanto avvenuto a Modena, Carpi ha inglobato le frazioni di Cibeno, Quartirolo, Due Ponti. Resistono invece ancora le frazioni di Budrione, Cortile, Gargallo, Migliarina, Santa Croce, San Marino, San Martino Secchia, e Fossoli.

Questa frazione ci conduce a uno dei periodi più tristi di Carpi, al campo di concentramento, uno dei pochi in Italia. Dal 1973 il Palazzo dei Pio ospita il Museo Monumento al Deportato, in un percorso che parte dal cortile delle stele e si sviluppa in ambienti, di grande impatto emotivo e di suggestione, caratterizzati da graffiti con opere di grandi artisti quali Longoni, Picasso, Guttuso, Cagli e Léger e con frasi incise sulle pareti tratte dalle Lettere dei condannati a morte della Resistenza europea. Nella sala dei Nomi sono graffiti i nomi di oltre 13.000 italiani morti nei campi di concentramento europei, e Bertold Brecht ce lo ricorda: E Voi, imparate che occorre vedere e non guardare in aria; occorre agire e non parlare. Questo mostro stava, una volta, per governare il mondo! I popoli lo spensero, ma ora non cantiamo vittoria troppo presto: il grembo da cui nacque è ancor fecondo. Don Zeno, il fondatore di Nomadelfia, un “visionario” nel senso buono del termine, nel 1947 occupò con la sua “Opera Piccoli Apostoli” proprio il campo di concentramento. Zeno Saltini era nato lì a Fossoli nel 1900, in una ricca famiglia di agricoltori e proprietari terrieri. Nella prima adolescenza abbandona gli studi, per dedicarsi al lavoro nei poderi di famiglia, a contatto con i problemi reali dei braccianti e degli operai.

Riprende gli studi e conseguita la maturità si iscrive a Giurisprudenza. Si dedica, per alcuni anni, a un’intensa attività di apostolato tra i giovani e diviene presidente diocesano della Gioventù cattolica. Riprende gli studi trascurati a lungo, si laurea alla Cattolica di Milano nel 1929 e decide di farsi prete. È ordinato sacerdote, dopo un solo anno di studi teologici, nel gennaio 1931. Inviato come cappellano a San Giacomo Roncole di Mirandola si distingue immediatamente per iniziative e stile pastorale insoliti. Qui fonda l’Opera Piccoli Apostoli, per accogliere e formare ragazzi in stato di abbandono o di miseria. Per essi esaurisce tutto il patrimonio ereditato, vivendo poi in ricorrenti difficoltà economiche. Ha noie con la polizia e le autorità politiche locali durante il Fascismo.

Nel 1941 è vescovo a Carpi il cappuccino Vigilio Federico Dalla Zuanna, già predicatore apostolico e ministro generale del suo Ordine, che condivide gli ideali e i fini dell’Opera di don Zeno. Alla destituzione di Mussolini, don Zeno è arrestato dai Carabinieri per aver diffuso un foglietto invitante i padri di famiglia a riunirsi intorno all’altare per ritrovare dignità e libertà. È rilasciato dopo poche ore, ma denunciato a piede libero al Tribunale militare di Modena. Dopo la firma dell’armistizio di Cassibile decide di varcare il fronte, con 25 giovani che vogliono sottrarsi all’alternativa di essere arruolati o deportati. Dopo la Liberazione, don Zeno promuove un movimento popolare politico con lo slogan: “Fate due mucchi”, ossia i ricchi da una parte e i poveri dall’altra. Con tutta la numerosa comunità di famiglie dell’Opera nel maggio 1947 don Zeno occupa l’ex campo di prigionia di Fossoli, per costruirvi una città chiamata Nomadelfia, cioè legge della fraternità, trasformando il luogo dell’odio e della ferocia nel luogo dell’amore, nel quale si vive a somiglianza delle comunità cristiane dei tempi apostolici. Arrivano bimbi abbandonati da ogni parte d’Italia e la popolazione di Nomadelfia, nel giro di alcuni anni, supera le mille unità. Nel maggio 1948, a Nomadelfia, padre David Maria Turoldo incontra don Zeno, e a Milano si costituisce un comitato pro Nomadelfia presieduto dalla contessa Maria Giovanna Albertoni Pirelli. Nel marzo 1949, nella Maremma grossetana, si forma una seconda Nomadelfia. Le parole e gli atteggiamenti di don Zeno si fanno molto polemici e provocatori nei confronti del Governo e della Democrazia cristiana. Nell’agosto 1950 don Zeno lancia un terzo movimento politico popolare, che si propone l’abolizione di ogni forma di sfruttamento dei lavoratori e la promozione di una democrazia diretta superando i partiti, movimento che però si esaurisce nel giro di pochi mesi per l’opposizione delle autorità politiche e religiose, il boicottaggio dei partiti, l’organizzazione improvvisata, l’insufficienza dei mezzi, la confusione degli obiettivi. La crisi di Nomadelfia si acuisce per le gravi difficoltà economiche, per le idee e i propositi, non condivisi o fraintesi, di don Zeno, per l’ostilità delle autorità governative, per l’opposizione delle autorità religiose. Su don Zeno si danno i giudizi più contrastanti: eroe della carità, crociato dell’utopia, prete esaltato, amministratore spericolato. Molti lo giudicano strano, ingenuo, arrischiato. Il Santo Ufficio, il 5 febbraio 1952, intima a don Zeno di lasciare Nomadelfia. Il prete ubbidisce. Il prefetto di Modena, con il favore delle autorità di Governo, decreta la liquidazione coatta amministrativa di Nomadelfia. Nel novembre 1952 il tribunale di Bologna assolve pienamente don Zeno e alcuni nomadelfi dall’accusa di truffa e millantato credito. Il Santo Ufficio vieta a don Zeno di ricostituire Nomadelfia e il vescovo di Carpi Dalla Zuanna è invitato a dimettersi. Il vescovo, travolto nella rovina di Nomadelfia, ubbidisce. Durante gli ultimi anni del pontificato di Pio XII matura un diverso atteggiamento delle autorità religiose nei confronti di don Zeno, e la “società dei nomadelfi” si trasforma di nuovo in Nomadelfia, insediata nella Maremma grossetana, dove don Zeno e i suoi si erano trasferiti. Nel gennaio 1962, a seguito di parere favorevole espresso dalle competenti congregazioni romane, Giovanni XXIII riammette all’esercizio del ministero sacerdotale don Zeno, che muore il 15 gennaio 1981.

Gazzetta di Modena

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