«Io, teologo, quasi prete e gay Lavorare nello staff di Matteo sarà come tornare in seminario»

Bologna Cattolico lo è ancora. Seminarista non più. «Dovevo diventare sacerdote ma ho capito che non era la mia strada». Nel futuro di Benedetto Zacchiroli, classe 1972, consigliere comunale a Bologna, una laurea in Teologia, c’è l’ingresso nello staff di Matteo Renzi. Forse da capo. Ma Zac, come lo chiamano gli amici, non si sbilancia: «Vedremo, Renzi mi ha chiesto di collaborare, il decreto con le nomine arriverà in settimana».

Non è scaramantico, Zacchiroli, ma conosce le porte girevoli della politica. Intanto si è ritirato dalla corsa per il Consiglio comunale. A Bologna, dov’è nato e cresciuto, vanta relazioni ed esperienze eterogenee. La gavetta in Curia, la militanza nei Girotondi, amicizie in ambienti confindustriali, l’ordinazione a diacono con il cardinale Biffi. «Lavorare con Renzi sarà come tornare in seminario — dice — l’emozione è la stessa».

La svolta per lui arriva nel 2004, con la nomina a consigliere per gli Affari internazionali del sindaco Cofferati: «Da Sergio — dice — ho imparato molto su come si come fa politica e molto su come non si fa». Finita l’era Cofferati, l’ex diacono vola in Brasile, «ministro degli Esteri» del Comune di Fortaleza. Com’è possibile? «Semplice — racconta —. Avevo conosciuto la sindaca in una serie di occasioni e mi ha chiamato».

L’amicizia con Renzi, a dirla tutta, precede il renzismo. Risale al 2007. «Ci incontrammo a una cena a Firenze dopo un concerto di Lucio Dalla. Me lo presentò Lucio. Matteo era ancora presidente della Provincia». Da lì è un crescendo. «Zac» interviene alla prima Leopolda: è uno dei primissimi renziani nella terra dell’ortodossia bersaniana. Nel 2011 si candida alle primarie bolognesi contro l’attuale sindaco Virginio Merola. Perde ma non si dà per vinto.

Coltiva il rapporto con Renzi senza mai tagliare i ponti con la Ditta. «Punto sui rapporti umani, non sulle correnti». Una delle sere più importanti della sua vita, Zacchiroli fa coming out nella sede di Arcigay: «Come teologo e come gay — dice in quell’occasione — non mi stupisce il Vaticano ma la sinistra e il Pd che non hanno il coraggio di dire quel che si deve dire”. In occasione della legge sulle unioni gay la comunità Lgbt gli rimprovera un eccesso di moderazione. Lui però non ha rimpianti: «Il testo finale della Cirinnà era il massimo che potessimo ottenere, chi è deluso lo capirà in futuro. Renzi non mi ha scelto in quota Lgbt, mi ha chiesto di fare gioco di squadra».

Corriere della Sera

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