65 anni di sacerdozio di don Dallapè, per oltre 20 parroco di via Duca d’Aosta: l’8 dicembre l’abbraccio dei fedeli
di Antonella Mattioli – Alto Adige
BOLZANO. «L’idea di venire a Bolzano mi spaventava: cresciuto a Stravino in Trentino, mi sembrava di andare in una metropoli. Ma il vescovo mi aveva assegnato alla parrocchia di Don Bosco e c’era poco da discutere. Era l’8 gennaio del ’54 quando ho preso la Sasa e sono arrivato all’incrocio tra via Milano e via Palermo, dove allora c’era una piccola chiesa: tutto intorno, coperte da una montagna di neve, le casette delle Semirurali e lungo via Genova una fila di baracche piene di famiglie ricche solo di figli. Era come essere in un paesone e questo mi ha fatto sentire subito a casa». Don Vittorino Dallapè, 89 anni il 29 novembre, racconta così il suo primo impatto con il capoluogo altoatesino. L’8 dicembre i parrocchiani, guidati dall’amico di sempre Roberto Faes, faranno festa per i suoi 65 anni di sacerdozio, in coincidenza con l’anniversario della costituzione, nel ’66, della parrocchia dei Tre Santi.
Quell’anno don Dallapè è stato assegnato proprio alla parrocchia di via Duca d’Aosta: parroco fino al ’90, ancora oggi tutte le mattine alle 8 celebra messa ed è comunque un punto di riferimento in particolare per i parrocchiani più anziani. Ha la soddisfazione di aver costruito, assieme a don Silvio Bortolamedi, la chiesa: all’epoca c’era solo una cappella. «A me il progetto iniziale dell’architetto – confessa – non piaceva per niente. Lo schema era quello delle chiese tradizionali, ma dal Concilio Vaticano II era uscita l’indicazione di pensare a qualcosa di più moderno. È così che ho cominciato a buttar giù qualche schizzo che alla fine l’architetto ha tradotto in un progetto: oltre alla chiesa si sono realizzati parrocchia e canonica ».
Quando è stata inaugurata la chiesa?
«Allora non c’era la burocrazia che c’è oggi e tutto è andato via veloce: i lavori sono cominciati il 6 aprile del 1971 e la chiesa è stata aperta ufficialmente dal vescovo Joseph Gargitter il 19 dicembre dello stesso anno».
Quelli erano anni in cui le chiese erano piene.
«È cambiato tutto».
Non si sono svuotate solo le chiese ma anche i seminari.
«Il 29 giugno del 1950 a Trento siamo stati ordinati in 29. Oggi le ordinazioni nella nostra diocesi, ma la musica è la stessa ovunque, non sono più di una o due all’anno».
Come lo spiega?
«Con il benessere. I giovani non hanno più voglia di fare sacrifici».
Secondo lei se si concedesse ai preti di sposarsi, ci sarebbero più vocazioni?
«Io sono convinto che un sacerdote si debba dedicare completamente agli altri, ciononostante concederei la possibilità di sposarsi, ma non credo ci sarebbe un aumento delle vocazioni».
Il comportamento di certi sacerdoti, può aver contribuire ad allontanare una parte dei fedeli?
«Su questo non c’è dubbio. Certi scandali all’intero della chiesa si pagano. Per questo per me Papa Francesco è un dono della provvidenza. Con lui le cose cambieranno; spariranno certi lussi. Inoltre la Chiesa sarà sempre più sinonimo di perdono e accoglienza, invece che di proibizione . Mi spiace solo di non avere più le forze per fare quello che dice: ovvero andare tra gli ultimi».
Perché ha fatto il prete?
«Tutto è iniziato quando avevo 9-10 anni e il curato di Stravino mi ha regalato un libricino su Don Bosco, mi piaceva l’idea di seguire le sue orme».
I suoi come hanno reagito?
«Mio padre Guido e mia madre Ottilia erano orgogliosissimi, anche se, per una famiglia di dieci figli come la nostra, significava perdere un aiuto prezioso in campagna».