Catecumenali, la Chiesa poco cattolica che sfida Francesco

“il Fatto Quotidiano” del 28 giugno 2015

 

Al Family Day di sabato scorso ha parlato per ultimo come sempre fanno i capi nei comizi. E ha parlato tantissimo, quasi un’ora, molto più a lungo di tutti gli altri oratori. È Kiko Arguello, il leader assoluto dei neocatecumenali, il gruppo che egli stesso ha fondato quasi mezzo secolo orsono: un’organizzazione ipergerarchica, con una catena di comando quasi militare che risponde a lui, l’ex pittore spagnolo non propriamente di successo, rivelatosi uno straordinario evangelizzatore; prima nei quartieri popolari di Madrid e poi in Italia, sua patria di elezione.

All’inizio, i seguaci di Kiko hanno vissuto nella semi clandestinità, coagulati attorno a poche parrocchie e in particolare a quella romana intitolata ai Martiri canadesi.

La svolta, come per gli altri movimenti ecclesiali, è arrivata con il pontificato di Giovanni Paolo II. Il papa polacco sviluppò verso l’organizzazione di Kiko un affetto particolare, ricambiato: tantissime le volte in cui li ha incontrati, soprattutto nelle parrocchie romane e sempre massiccia la loro partecipazione alle Giornate Mondiali della Gioventù o alle grandi adunate di massa indette dal wojtyliano Cardinal Camillo Ruini. Si dice che il braccio destro di Kiko, Carmen Hernandez, avesse un accesso talmente privilegiato in Vaticano da vedersi consentita, privilegio rarissimo, la possibilità di trascorrervi la notte, che disponesse lì di una sua cameretta. Il favore con cui Giovanni Paolo ha guardato al movimento ne ha consentito l’enorme crescita. Una crescita maligna però, perché uccide tutte le creature sociali circostanti, a partire dalle parrocchie, desertificate e impoverite quando arriva il Cammino.

Quello neocatecumenale è un percorso iniziatico finalizzato, così sostiene Kiko, a riscoprire la purezza della propria fede cristiana. Le tappe di questo lunghissimo cammino (dura più di dieci anni) sono state tutte partorite dal genio organizzativo di Kiko, al pari dei canti (molto importanti nella vita dell’organizzazione) e delle immagini che appaiono nei luoghi dove il Cammino si è insediato. Kiko è anche l’autore delle catechesi, gli ammaestramenti che i dirigenti dell’organizzazione somministrano agli adepti.

Nel Cammino sono ridotte al minimo le differenze locali, la creatività e l’intelligenza personali: le parole del capo echeggiano a ogni latitudine. Sempre uguali. Le nenie ripetute si fanno gergo, diventano standard, finiscono col sostituire il linguaggio comune. Un prete mi disse una volta che lui riconosceva i catecumenali in confessione dall’uso ossessivo di certe parole.

È un lento processo di svuotamento della soggettività e della libertà quello che praticano i neocatecumenali. Il futuro adepto viene attirato da uno striscione all’esterno di una parrocchia dove si invita a frequentare una “catechesi per adulti”. O, più spesso, convinto a parteciparvi da qualche parente o conoscente. All’origine della scelta c’è sovente una crisi personale o il desiderio di compiere un’esperienza spirituale intensa, un’ansia di conversione.

Le prime catechesi sono introduttive, il nome di Kiko e della stessa organizzazione non viene fatto mai o quasi. Terminano con un week end di convivenza, nel quale nasce ufficialmente “la comunità”, quella cellula sociale destinata a vivere insieme per decenni. E a condividere tutto: le convinzioni profonde, prima tra tutte “l’apertura alla vita” e cioè il figliare senza limiti, la fedeltà a Kiko, il denaro (i membri del Cammino sono caldamente invitati a devolvere all’organizzazione una parte del loro stipendio) e soprattutto la vita intima, i segreti più riposti. Già negli incontri settimanali tutti i “fratelli” e le “sorelle” rivelano agli altri gioie e patimenti, problemi e speranze. Ma è durante i famigerati “scrutini”, nel passaggio da un livello iniziatico a quello superiore, che la vita degli adepti viene vivisezionata, che costoro sono invitati a elencare di fronte al resto della comunità i loro peccati. Ai quali si aggiungono quelli indicati dagli altri membri che, esortati dai catechisti, riferiscono, faccio un esempio che mi è stato riportato da un partecipante, di aver visto lo scrutinando in compagnia di una donna che non era la moglie o di averlo udito bestemmiare. Eccetera.

Anche la liturgia è stata ridefinita da Kiko. Se un cattolico “normale” entrasse in Chiesa durante una messa neocatecumenale penserebbe di essere finito in un tempio non cattolico. E forse è proprio così. Per questo motivo, le funzioni si svolgono il sabato sera, alle 21. Sulla carta sono aperte a tutti i cattolici, ma ci vanno solo i membri della comunità. In ogni caso, per organizzarle serve il consenso del prete. Ancor meglio se il prete medesimo diventa catecumenale, in modo che possa consegnare al movimento l’intera parrocchia. I sacerdoti contano pochissimo nel Cammino: sono equiparati agli altri fratelli; devono, al pari degli altri, far parte di una comunità e percorrere le tappe dell’iniziazione. La principale funzione loro attribuita in esclusiva è la celebrazione eucaristica. I preti servono in realtà al Cammino soprattutto per penetrare in parrocchia, per colonizzarne ogni interstizio. Un certo numero di preti si è in questi anni convertito al Cammino: molto spesso in conseguenza della solitudine o della disperazione di fronte allo svuotamento delle chiese. I nuovi preti si stanno invece formando nei seminari Redemptoris Mater che Kiko ha ottenuto l’enorme privilegio di aprire per formare propri sacerdoti.

L’allergia al “genere” che Kiko condivide con tanti partecipanti alla manifestazione di sabato è, almeno nel suo caso, soprattutto allergia alle donne, alle loro aspettative di contare come i maschi. Anni fa ho intervistato una ragazza single ex catecumenale che mi raccontò di essere stata invitata dai dirigenti del Cammino ad accompagnare una “famiglia in missione” di evangelizzazione all’estero e lì di essere stata costretta ai lavori più umilianti, alla completa sottomissione all’uomo capofamiglia. E non è certo un caso isolato. Non stupiscono le parole che Kiko ha implicitamente indicato nelle “donne che privano i loro mariti dell’amore” le principali responsabili dei femminicidi.

Più sorprendente, nell’intervento di Kiko, la nota polemica verso il segretario della Cei Galantino, accusato di pensare troppo alla “cultura” e al “dialogo” e meno alla drammatica situazione della fede in Europa. Credo si tratti di un attacco a nuora per colpire suocera, cioè di un attacco al papa, le cui intenzioni riformatrici, Kiko e tutto lo schieramento conservatore, vedono come gratuito omaggio ai nemici del cristianesimo.

Se il papa fosse il nemico numero uno di tutti costoro, rimane da chiedersi perché, con calma certo, ma non troppa, il papa non riservi loro il trattamento che Giovanni Paolo II, da una posizione opposta, riservò ai suoi avversari più tenaci, al gesuita Padre Arrupe o a quei teologi della liberazione a suo tempo sconfessati ed emarginati. Sarebbe un’azione autoritaria. Ma forse salverebbe la Chiesa Cattolica dal diventare quella di Kiko.

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