“IL REGNO” RIVELA: NEL 1976 IL VATICANO APRÌ UNO SPIRAGLIO AL SACERDOZIO FEMMINILE

38136 BOLOGNA-ADISTA. Nella primavera del 1976 la Pontificia Commissione Biblica – organo consultivo collegato alla Congregazione per la Dottrina della Fede (il prefetto ne è il presidente) cui Paolo VI, nel 1971, diede il nuovo compito di porsi al servizio del Magistero grazie alla presenza, al suo interno, di eminenti docenti in scienze bibliche – venne incaricata di studiare il ruolo della donna nelle Scritture e in particolare la questione dell’ordinazione sacerdotale femminile. Il parere finale della Commissione non fu affatto negativo. Tuttavia, l’allora prefetto della Cdf, il croato card. Franjo Šeper, che resse il dicastero vaticano negli anni del post-Concilio (1968-1981), non ne tenne conto nella dichiarazione che firmò, nell’ottobre dello stesso anno, sul tema del «posto della donna nella società moderna e nella Chiesa», la Inter insigniores, nella quale ribadì l’esclusione delle donne sancita dalla tradizione.

Il testo del documento di lavoro elaborato dalla Commissione Biblica è ora disponibile in italiano, tradotto e pubblicato dal periodico dei Dehoniani Il Regno (15/4), sulla scia delle affermazioni di papa Francesco in ordine ad un ruolo più significativo delle donne nella Chiesa (precedentemente era stato pubblicato in inglese in appendice al volume a cura di A. Swidler, L. Swidler, Women Priests, New York 1977).

Il documento è firmato dallo stesso Šeper, dal segretario mons. Albert Deschamps, e dai membri della Commissione, tra i quali spiccano nomi eccellenti: Jose Alonso-Diaz, Jean-Dominique Barthelemy, Pierre Benoit, Raymond Brown, Henri Cazelles, Alfons Deissler, Ignace de la Potterie, Jacques Dupont, Salvatore Garofalo, Joachim Gnilka, Pierre Grelot, Alexander Kerrigan, Lucien Legrand, Stanislas Lyonnet, Carlo Maria Martini, Antonio Moreno Casamitjana, Ceslas Spicq, David Stanley, Benjamin Wambacq, Marino Maccarelli. Alla presenza di 17 dei 20 membri, scrive Il Regno, vennero messe ai voti ed approvate tre questioni: 1) il Nuovo Testamento non afferma in modo chiaro se le donne possono diventare prete (voto unanime); 2) i motivi scritturistici non sono sufficienti da soli a escludere la possibilità dell’ordinazione delle donne (12 a 5); 3) il piano di Cristo non sarebbe violato con l’ordinazione delle donne (12 a 5).

Le conclusioni dei biblisti

Dopo un ampio excursus sul ruolo della donna nelle scritture bibliche e sul ministero di guida esercitato dagli apostoli, gli esperti della Commissione Biblica, osservando che «il carattere maschile dell’ordine gerarchico che ha strutturato la Chiesa fin dal suo inizio pare attestato dalla Scrittura in modo innegabile», si chiedevano: «Dobbiamo concludere che questa regola deve rimanere valida per sempre nella Chiesa?».

«Di fatto – osservava la Commissione – non abbiamo prove che al tempo del Nuovo Testamento questi ministeri fossero affidati a donne. Due testi (1Cor 14,33-35 e 1Tm 2,11-15) vietano alle donne di parlare e di insegnare nelle assemblee. Tuttavia, senza entrare nei dubbi sollevati da alcuni sulla loro autenticità paolina, è possibile che essi si riferiscano soltanto ad alcune concrete situazioni e abusi. È possibile che altre situazioni spingano invece la Chiesa ad assegnare alle donne il ruolo di insegnare, che costituisce una funzione appartenente alla responsabilità di guida e che questi due passaggi negano. È possibile che si verifichino circostanze nelle quali la Chiesa si senta chiamata ad affidare ad alcune donne i ministeri sacramentali?». È quanto accaduto per il battesimo, il quale, benché affidato agli apostoli, può essere amministrato anche da altri e, almeno in epoca tardiva, fu consentito anche alle donne. «Arriveremo a fare lo stesso – si chiedevano i teologi – anche con il ministero dell’eucaristia e della riconciliazione, che manifestano in modo eminente il servizio del sacerdozio di Cristo di cui sono incaricate le guide della comunità?». «Non pare che il Nuovo Testamento, preso da solo, permetta di risolvere in modo chiaro e definitivo il problema del possibile accesso delle donne al presbiterato», concludevano. «Alcuni ritengono che nella Scrittura vi siano sufficienti indicazioni per escludere una tale possibilità, soprattutto in considerazione del fatto che i sacramenti dell’eucaristia e della riconciliazione hanno un particolare legame con la persona di Cristo, e quindi con la gerarchia maschile così come è nata dal Nuovo Testamento. Altri, al contrario, si chiedono se la gerarchia ecclesiastica, cui è affidata l’economia sacramentale, non potrebbe affidare i ministeri dell’eucaristia e della riconciliazione a donne in particolari circostanze, senza andare contro le intenzioni originali di Cristo».
La direzione contraria del card. Šeper

Qualche mese dopo, il card. Šeper fece tabula rasa di questo studio, affermando che non si può definire “vocazione” quella che alcune donne sentono nei confronti del ministero sacerdotale: «Una tale attrattiva – scrisse nella Inter insigniores – per quanto nobile e comprensibile, non costituisce ancora una vocazione. Questa, infatti, non potrebbe ridursi alla sola inclinazione personale, che può restare puramente soggettiva. Poiché il sacerdozio è un ministero peculiare di cui la Chiesa ha ricevuto l’incarico e il controllo, l’autenticazione da parte della Chiesa risulta qui indispensabile; essa fa parte costitutiva della vocazione: il Cristo ha scelto “coloro che egli voleva” (Mc 3,13). Al contrario, esiste una vocazione universale di tutti i battezzati all’esercizio del sacerdozio regale mediante l’offerta della vita a Dio e la testimonianza come lode a Dio». Pertanto, proseguiva il cardinale, «le donne che formulano la loro richiesta in ordine al sacerdozio ministeriale sono certo ispirate dal desiderio di servire Cristo e la Chiesa. Né desta sorpresa il fatto che esse, al momento in cui prendono coscienza delle discriminazioni di cui sono state oggetto, giungano al punto di desiderare lo stesso sacerdozio ministeriale. Non bisogna, tuttavia, dimenticare che il sacerdozio non fa parte dei diritti della persona, ma dipende dall’economia del mistero di Cristo e della Chiesa. La funzione del sacerdote non può essere ambita come termine di una promozione sociale; nessun progresso puramente umano della società o della persona può di per se stesso darvi accesso: si tratta di un ordine diverso».

Nel corso degli anni nessun passo avanti fu fatto rispetto alla pietra posta sulla questione da Šeper, anzi: nel 1998, nella “Nota dottrinale illustrativa” a corredo della lettera apostolica di Wojtyla Ad tuendam fidem, il suo successore alla Cdf, l’allora card. Joseph Ratzinger, sancì che «la dottrina sull’ordinazione sacerdotale da riservarsi solo agli uomini», anche se non definita dogmaticamente, «è da ritenersi in modo definitivo» (v. Adista n. 53/98). Quattro anni prima, nel 1994, Ratzinger aveva affermato con chiarezza, commentando la lettera apostolica di Wojtyla Ordinatio sacerdotalis, che «la Chiesa non ha la possibilità di cambiare la sua prassi perché non è pura prassi, non è pura disciplina, ma espressione della fede della Chiesa stessa che risulta dalla Rivelazione» (v. Adista. n. 46/94). Il sacerdozio maschile, aggiungeva Ratzinger, «è una realtà che precede la volontà della Chiesa, una volontà precisa del Signore stesso e la Chiesa non può far altro che obbedire nell’obbedienza della fede». Anzi: chi non lo fa «ovviamente si separa dalla fede nella Chiesa».

Ma gli esperti, i biblisti, non la pensavano così. Il loro documento è integralmente disponibile sul sito de Il Regno. (ludovica eugenio)

sacerdoti.gesu1

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