Chiesa: dall’isolamento totale a Facebook, così cambia la clausura

Clausura: anche nel Terzo Millennio, il comune sentire l’identifica ancora con un isolamento totale dal mondo e dal resto dell’umanità, con una vita passata in un recinto di pochi metri quadrati, in una cella scura, tra contemplazione e penitenza, senza che lo sguardo possa avere un orizzonte. Non è così, o almeno non è più così. Le ristrettezze ovviamente ci sono e con esse la scelta, meglio la ‘vocazione’, per una vita di sacrificio e di rinuncia, votata alla preghiera. Ma le condizioni sono diverse da quelle della ‘vulgata’ popolare, come del resto hanno dimostrato le immagini strabordanti entusiasmo delle suore di clausura con Papa Francesco in occasione della sua visita apostolica a Napoli o la conseguente polemica iniziata in tv con la satira di Luciana Littizzetto e la risposta della abbadessa via Facebook.

La vita di clausura, che era legata addirittura al mondo pre-conciliare, è stata riformata dal Codice del 1983, che ha previsto la possibilità di dispense e permessi per l’uscita temporanea dal monastero, che una volta era impossibile o comunque rarissima. Ma non c’è una regola uguale per tutte le suore di clausura del mondo: ogni Ordine infatti ha la sua regola, che si chiama ‘costituzione generale’ e che definisce il tipo di carisma e, di conseguenza, di clausura: ce ne sono circa una cinquantina, tra cui quelli delle clarisse, delle carmelitane, delle agostiniane, delle domenicane, delle cappuccine, delle benedettine, delle trappiste, delle minime francescane, sono i più numerosi. Santa Teresa di Gesù Bambino è la patrona comune.

“Ogni monastero di clausura è una casa autonoma, in cui la Madre maggiore – che prende nomi diversi a seconda degli ordini: Abbadessa, Priora, Superiora, Correttrice – non ha altri al sopra nella scala gerarchica; per il resto, ogni monastero è soggetto direttamente al Vaticano, che però li affida alla vigilanza del vescovo della diocesi”, come spiega all’AdnKronos padre Stefano Canuto, sacerdote agostiniano, filippino in Italia da 28 anni nella parrocchia di Sant’Anna dentro le mura del Vaticano, officiale della ‘sezione contemplativa’ della Congregazione per la Vita consacrata, guidata dal cardinale Braz de Aviz.

Il vescovo diocesano ha competenze particolari: può entrare nel monastero senza permesso o autorizzazione dell’abbadessa, ma solo per ‘causa grave’, oppure può delegare altre figure ecclesiastiche al suo posto. Per quanto riguarda le ‘libere uscite’ delle suore, la Madre maggiore può dare una dispensa temporanea dalla clausura al massimo per una settimana, il vescovo ha la competenza per rilasciare i permessi per le uscite delle suore di clausura per un periodo non superiore ai tre mesi; altrimenti, si deve ricorrere direttamente alla Santa Sede.

Si può uscire solo per ‘causa grave’, a parte i permessi temporanei per occasioni particolari, come è stato il caso della visita di Papa Francesco a Napoli. Prima del Codice del 1983, le suore di clausura non potevano uscire per alcun motivo, neanche per una visita medica o per votare alle elezioni: in quest’ultimo caso, le urne venivano portate all’interno del monastero per il voto. Persino i loro funerali si dovevano celebrare all’interno con la cerimonia di sepoltura. Ora, invece, le esequie sono pubbliche, nella cappella del monastero ma con la presenza dei familiari e la sepoltura avviene nei cimiteri comunali.

Si possono avere permessi di uscita per motivi personali o familiari, ad esempio per andare a visitare un genitore o un fratello malato o assisterlo o per sottoporsi a un intervento medico. La motivazione deve comunque essere una ‘causa grave’, che riguarda la propria persona o quella di un familiare stretto. Ma si può chiedere di uscire per un breve periodo anche per “verificare la propria vocazione, che – spiega padre Canuto – non significa mettersi alla prova ma capire se la chiamata è quella giusta o va indirizzata su un altro tipo di vita religiosa”.

Non bisogna essere vergini per diventare monache di clausura. Lo si può essere anche dopo aver avuto in precedenza rapporti con uomini, essere rimaste vedove o essere state sposate e poi essersi separate, sempre con la dispensa della Santa Sede. Non mancano casi di donne che sono state violentate e persino qualche ex prostituta.

In un monastero di clausura, però, non c’è all’interno nessun uomo. Possono entrare operai per lavori di riparazione o di restauro oppure per consegnare generi alimentari e altre merci: ma devono essere situazioni in cui le suore non possono provvedere autonomamente. Nel caso dei viveri, se non si può fare altrimenti, le monache possono essere autorizzate anche a uscire per fare la spesa. In ogni caso, il monastero di clausura ha una vita autonoma: dalla cucina alla lavanderia.

Nel mondo, i monasteri degli ordini claustrali sono circa 3.400 e le suore di clausura possono calcolarsi in circa 38.000, oltre la metà delle quali in Italia e in Spagna. Ci sono monasteri che possono contare anche un centinaio di monache e altri con soltanto tre suore. La media è attorno alla dozzina. C’è un processo di soppressione o di fusione dei monasteri di clausura in Europa e in Nord America, mentre in Asia, in Africa e in America Latina se ne fondano ancora di nuovi, sia per le dimensioni e il rapporto fra numero di monasteri e residenti, sia per le nuove vocazioni religiose, che nel mondo occidentale sono in crisi anche a causa del fenomeno della denatalità, oltre al processo di secolarizzazione.

Quanto alle motivazioni particolari, “è una chiamata, perché nessuna suora entrerà mai in clausura se non sente la ‘chiamata speciale’ del Signore, perché senza la vocazione non si potrebbe resistere a rimanere per sempre isolati, distaccati dal mondo – assicura padre Canuto – Neanche per espiare una colpa, per quanto grave. Possono consacrarsi ma non scegliere e reggere la clausura: dopo un po’ di tempo non ce la si fa. Le suore di clausura non sono entrate in monastero per disperazione, per espiare colpe o per qualche altro motivo, ma per la chiamata particolare del Signore che ha fatto sorgere la vocazione”.

La clausura non è altro che la separazione di una persona dal mondo, non per essere lontano da esso e distaccato dall’umanità ma per essere più vicino a Dio. E questo è comune a tutti gli ordini religiosi. Poi, c’è la ‘clausura stretta’, che impedisce di uscire dal monastero; c’è la ‘clausura papale’ specifica dei monasteri femminili e definita con leggi emanate dal Vaticano; e c’è la ‘clausura costituzionale’ o ‘clausura minore’ in cui assieme all’attività claustrale si hanno altre attività apostoliche, come ad esempio una scuola all’interno del recinto monasteriale.

Dall’esterno, anche dentro lo stesso mondo cristiano, la critica più ricorrente è che questo tipo di vita consacrata è una scelta per sé ma non per gli altri, soprattutto non per chi soffre o più ha bisogno. “Ma le preghiere delle suore di clausura sono molto importanti per l’umanità e per la stessa Chiesa, che non potrebbe vivere solo con l’attivismo senza nutrirsi spiritualmente – replica padre Canuto – La Chiesa respira con due polmoni, le preghiere e le azioni, come l’uomo è fatto di corpo e anima. E allora le due cose si compensano a vicenda: i religiosi impegnati nel mondo dell’assistenza ai poveri o ai malati, nella cura dei giovani o nell’istruzione possono non avere il giusto tempo per la riflessione e la preghiera e chi vive nei monasteri supplisce a questa carenza”.

Racconta suor Esmeralda, 52 anni, romana di origine siciliana, benedettina di clausura al monastero di San Giovanni Battista, sulla collina di Monte Mario a Roma: “Sono entrata in noviziato ‘tardi’, a 31 anni, dopo una laurea in Lettere classiche all’università ‘Sapienza’. Volevo fare l’insegnante ma al tempo stesso ero attirata dalla vita religiosa, frequentavo una parrocchia molto attiva”, la chiesa di Santa Maria del Buon Consiglio sulla Tuscolana, nel quartiere di Cinecittà.

“La ‘chiamata’ l’ho avvertita a 14 anni, ma allora non mi sembrava tutto chiaro, era un’idea ‘strana’ che non mi apparteneva, almeno in quel momento. Ho anche avuto esperienze con ragazzi e un fidanzato, non ufficiale, con il quale parlavamo anche di sposarci: lui era molto contento e non vedeva l’ora, io ero molto più titubante, ci siamo parlati e ho deciso che la mia vocazione autentica non era il matrimonio ma la clausura. Da allora non ho mai avuto un ripensamento serio; qualche fase di dubbio, di riflessione, qualche momento critico sicuramente sì. Ma non tale da farmi ripensare la mia scelta di vita. Sono la persona più felice del mondo!”.

“Cosa mi manca della vita mondana? Tutto sommato, direi nulla, sinceramente, anche perché sono entrata in noviziato da adulta e ho avuto modo di soddisfare qualche desiderio, di vedere il mondo”. L’età media delle suore di clausura in Europa è sopra i 40 anni. L’età minima per essere ammesse al noviziato è di 17 anni ed esso può durare uno o due anni; non esiste un’età massima: “Posso citare il caso di una vedova italiana che – riferisce padre Canuto – è entrata in monastero a 82 anni”. Anche per la clausura, non è mai troppo tardi…

adnkronos

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