Contro Pell per colpire il Papa

Per ostacolare la pulizia si recita lo stesso copione
 di Antonino D’Anna 

 

Lo schema sembra quello di Vatileaks: il cavallo (la Curia) si imbizzarrisce e butta a terra il cavaliere (il Papa). Ha funzionato, e bene, con Joseph Ratzinger; potrebbe funzionare anche con Jorge Mario Bergoglio. Non è difficile guardare ad uno scenario come questo, si dice anche Oltretevere, mentre sulla stampa affiorano i verbali delle riunioni in cui i cardinali litigano tra loro anche sul controllo dell’Apsa, (Amministrazione Patrimonio Sede Apostolica) la vera banca centrale del Vaticano. ItaliaOggi aveva scritto che la lotta si sarebbe spostata sull’Apsa il 25 febbraio 2014 e nel corso dello stesso anno è tornata sul tema più volte: ora tutto questo – come indicano le rivelazioni dell’Espresso – si avvera.

Come in Vatileaks il «cattivo» da azzoppare per far cadere il Papa è stato individuato nel cardinale Tarcisio Bertone e la corrente bertoniana (che però, va detto, ci ha messo anche un certo impegno nella colonizzazione degli spazi vaticani), così il «cattivo» che adesso emerge dalle pagine dei verbali vaticani è perfetto per l’occasione: nientemeno che George Pell, il cardinale australiano scelto da Francesco come riformatore e ministro delle finanze vaticane. Una nomina di fiducia personale made in Bergoglio (ed è la cifra delle scelte – giuste o sbagliate – di questo papato), che tuttavia sta finendo per scontentare quel mondo romano (non solo clericale, ma anche e soprattutto una certa finanza presente Oltretevere) desideroso di rimettere piede nei salotti finanziari papali. L’accusa: è troppo accentratore, vuole decidere tutto lui. E’ più o meno lo stesso che veniva detto di Bertone.

Fateci caso: prima le voci insistenti sulla cattiva salute del Papa; il Sinodo straordinario sulla Famiglia (che avrebbe dovuto dare il la a chissà quali enormi aperture) i cui risultati (viste le attese) sono stati scarsi e che ha visto roventi polemiche tra progressisti e conservatori; poi ancora le liti per il controllo delle sacre finanze. Il metodo è quello ed è collaudato: convincere il Pontefice che la macchina non funziona, è tutto una gran confusione in cui il Papa non riesce a gestire niente, per giungere alla conclusione più logica.

E le scelte sono due: o il Papa decide un repulisti profondo della Curia, decapitando tutti i capi dicastero, i segretari e giù fino ai capufficio (impossibile da fare, specie per Francesco che ha una conoscenza della Curia molto scarsa); oppure, giunto alla conclusione che la situazione è ingestibile, specie dopo il Sinodo sulla Famiglia del 2015 (vedremo i risultati), il Papa potrebbe trovare una via d’uscita nelle dimissioni. Tra l’altro, Bergoglio il 17 dicembre 2016 compirà 80 anni, l’età che Paolo VI fissò nel 1970 per far decadere i cardinali dall’elettorato attivo e passivo in Conclave nonché – definitivamente – da tutti gli incarichi di Curia. Ratzinger ha dimostrato che un Papa si può dimettere e lo ha fatto: e se invece Bergoglio finisse per istituzionalizzare le dimissioni papali a quell’età?

italiaoggi.it

 

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