Mezzo milione speso in pochi mesi dal porporato australiano incaricato della spending review. Tra arredi e voli in business class

George Pell, quanti lussi per il moralizzatore vaticano
George Pell

Francesco dal suo braccio destro proprio non se l’aspettava. Così, qualche settimana fa, l’ha preso da parte e gli ha sussurrato: «Caro George, mi spieghi come hai fatto a spendere mezzo milione di euro? Ci sono voli in business class, vestiti su misura, hai comprato anche un sotto-lavello a 4.600 euro. Che è, d’oro massiccio?». George Pell, il cardinale australiano che il papa ha messo a capo della nuova potentissima Segreteria dell’Economia, ha capito che qualcuno aveva girato al pontefice tutte le voci di spesa fatte finora dal dicastero.

Un elenco di spese pazze che nemmeno le cene con tartufo di Tarcisio Bertone. Il prelato venuto da Melbourne per mettere a posto i conti, però, non ha battuto ciglio. Ha guardato in faccia Bergoglio e ha risposto secco: «Santità, si fidi di me. Ho comprato solo quello che serve. So io quello che faccio». Sarà. Ma Oltretevere sono in tanti ad essere rimasti di stucco davanti alle uscite del centro di costo del ministero (numero D70000) nato un anno fa con un “motu proprio” con l’obiettivo dichiarato di moralizzare la corrotta curia romana. Da luglio 2014 a gennaio 2015 gli esborsi hanno toccato infatti i 501 mila euro, tra computer, stampati interni, stipendi monstre per amici degli amici, vestiti messi in conto al Vaticano, affitti, biglietti aerei, arredi di lusso e tappezzeria su misura.

Non male, per un ente che non è ancora operativo (gli statuti sono stati approvati solo domenica scorsa) e per un ufficio dove lavorano appena tre persone. Per fare un confronto, il neo Consiglio per l’economia ha speso nello stesso periodo 95 mila euro, meno di un quinto, nonostante sia composto da ben 15 membri. Le cifre scovate da “l’Espresso” sono un paradosso per chi, come Pell, in un rapporto sulle “Politiche di Financial Management” ha invitato gli altri cardinali a capo di ministeri a «rafforzare il processo di pianificazione affinché le risorse economiche siano destinate alla missione della Chiesa secondo criteri di efficienza, efficacia e una gestione saggia e ragionevole delle risorse».

«Siamo passati dalla padella alla brace», mormorano alti prelati delusi dall’homo novus venuto dal Paese dei canguri. Se Bertone è stato crocifisso per essersi trasferito in un mega appartamento con terrazzo panoramico, il primo atto di George è stato quello di assumere il suo economo personale, Danny Casey, con un appannaggio da 15 mila euro al mese. Esentasse, naturalmente. Il monsignore per il suo protégé vuole il meglio. Così la Segreteria gli ha pure affittato una casa da 2900 euro al mese a via dei Coronari e ha pagato arredi di qualità per l’ufficio e per l’abitazione: le tabelle segnano alla voce «tappezzeria» 7.292 euro, quasi 47 mila euro per «mobili e armadi» (tra cui il «sottolavello» da 4.600 euro), oltre a lavoretti vari da 33 mila euro.

Spulciando i dati riservati, il cardinale ha messo in nota spese anche gli acquisti fatti al negozio Gammarelli, sartoria storica che dal 1798 veste la curia della città eterna: in genere i porporati pagano di tasca loro tuniche e berretta, ma stavolta la segreteria ha fatturato direttamente abiti per 2.508 euro (che si sia fatto cucire la Cappa Magna, l’abito con strascico chilometrico indossato nelle occasioni solenni?). Il nuovo boss del Vaticano non ha badato a spese nemmeno per i viaggi. Il “ranger”, come lo chiamò Francesco presentandolo alla stampa, per andare da Roma a Londra lo scorso 3 luglio ha speso 1.103 euro. Un prezzo da business class. Il suo accompagnatore, il prete australiano Mark Withoos ne ha pagati sullo stesso aereo solo 274: Pell probabilmente lo ha piazzato in economica.

Quando vola, il cardinale al lusso non rinuncia mai: quattro giorni dopo si è fatto rimborsare dal suo ministero un volo Roma-Dresda, in Germania, da 1.150 euro, un altro per Monaco da 1.238, mentre lo scorso settembre la Scuola dell’Annunciazione del Devon, di cui l’ultraconservatore è diventato “patrono”, ha dovuto sganciare per un Roma-Londra 1.293 euro. Pell e Casey si accomodano in business anche quando devono partire per Malta, dove vanno ad ascoltare i consigli del finanziere Joseph Zahra. Ma sono tutti gli uomini vicini al cardinale a volare in prima classe: da Lord Christopher Patten (ex presidente della BBC che dovrebbe riformare la comunicazione della Santa Sede) all’industriale di Singapore George Yeo, sugli aerei Pell paga champagne e tartine a tutti. Qualcuno, in Segreteria, ha provato a fargli notare che in Vaticano «chi predica bene deve razzolare benissimo», pare senza successo. Lui è uno che fa di testa sua, e non è un caso che sia il cardinale Reinhard Marx, a capo del Consiglio dell’Economia, sia il segretario del dicastero Alfred Xuereb contino pochissimo.

Se lo zar che dovrebbe fare spending rewiew ha speso più denari del previsto, contemporaneamente i risultati della sua azione tardano a manifestarsi. Le invidie dei colleghi sono tante, le resistenze pure, i tempi biblici della curia leggendari, mentre è innegabile che i capi dei vecchi dicasteri sono assai restii a mollare il loro potere. Ma anche le gaffe dell’australiano pesano sullo stallo: il prelato non solo ha irritato le gerarchie sparando cifre a caso su presunti “tesoretti” nascosti fuori bilancio (vedere l’articolo precedente), ma resta obiettivo facile per lo scandalo dei preti pedofili australiani.

Dopo le proteste delle vittime per alcune dichiarazioni di Pell («i pedofili sono come camionisti che molestano autostoppiste: né la Chiesa né l’azienda di trasporto possono esserne considerati responsabili»), l’ultima tegola è caduta in testa a Pell la scorsa settimana: il cardinale amante del buon vino quando era vescovo di Sydney non avrebbe agito da buon cristiano, negando con forza le accuse delle vittime e offrendo risarcimenti ridicoli in sede civile. «Pell così facendo voleva scoraggiare altri potenziali querelanti dal citare in giudizio la Chiesa per abusi sessuali», si legge sul Rapporto preliminare della Commissione nazionale d’inchiesta sulla pedofilia voluta dal governo. «Il prelato mancò di agire equamente da un punto di vista cristiano. L’arcidiocesi preferì difendere il suo patrimonio piuttosto che dare giustizia e compassione».

Parole durissime, ma è improbabile che Pell perda la poltrona. Non solo perché a Roma la stampa non le ha praticamente riportate, ma perché è stato Bergoglio in persona a promuoverlo prima tra i membri del cosiddetto C9 (il gruppo di cardinali che deve consigliare il papa nel governo della Chiesa universale) e poi prefetto del nuovo dicastero. Sarebbe impossibile per la Chiesa fare marcia indietro dopo appena un anno dall’investitura: i contraccolpi, innanzitutto mediatici, rischierebbero di essere devastanti.

espresso.repubblica.it

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