adesione da parte della Palestina a oltre 20 convenzioni e trattati internazionali

37963 ROMA-ADISTA. Difficile dire se il ricorso della Palestina alla Corte penale internazionale avrà conseguenze pratiche, anche qualora si arrivasse in effetti a una sentenza di condanna contro Israele per crimini di guerra. Nessun effetto ha avuto, per esempio, la pronuncia della Corte internazionale di giustizia contro il muro di separazione israeliano. Così come prosegue a ritmo serrato la costruzione delle colonie nonostante siano illegali sotto il profilo del diritto internazionale. Ciononostante, l’iniziativa del presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, che il 31 dicembre scorso ha firmato in diretta tv la richiesta di adesione da parte della Palestina a oltre 20 convenzioni e trattati internazionali (a cominciare dallo Statuto di Roma che ha istituito la Corte penale internazionale, ICC nella sua sigla inglese), non è piaciuta né a Israele né agli Stati Uniti.

Ma checché ne pensi Netanyahu, lo scorso 7 gennaio il segretario generale dell’Onu ha annunciato che lo statuto per la Palestina entrerà in vigore il 1° aprile e il 16 gennaio, la procuratrice capo dell’Aia, Fatou Bensouda, ha annunciato l’apertura di un esame preliminare per verificare la possibilità di procedere contro Israele per i crimini commessi durante l’attacco della scorsa estate contro la Striscia di Gaza. «Non un’inchiesta», specifica l’ICC, «ma un’analisi delle informazioni disponibili al fine di raggiungere una decisione pienamente informata sulla possibilità di procedere».

Le cose vanno quindi avanti speditamente e altrettanto speditamente si muove Israele che, sin dall’annuncio della richiesta di adesione, ha congelato il trasferimento all’Autorità nazionale palestinese di 127 milioni di dollari di proventi di tasse e dazi doganali (che Israele, secondo quanto previsto dal Protocollo di Parigi, figlio degli Accordi di Oslo, raccoglie per conto dei palestinesi e poi gira alle casse dell’Anp).

Decisione, quest’ultima, bocciata dall’amministrazione Obama che per bocca della portavoce del Dipartimento di Stato, Jen Psaki, ha definito il congelamento delle entrate fiscali «un’azione che aumenta le tensioni». Washington naturalmente non ha cambiato sponda e infatti contestualmente Psaki ha sottolineato che il ricorso dell’Anp alla Corte penale è «controproducente», ventilando possibili conseguenze sul piano dell’assistenza economica. D’altronde nel mese di dicembre il Congresso ha approvato una legge che prevede esplicitamente che gli Stati Uniti possano bloccare i fondi destinati all’Anp (svariati milioni di dollari l’anno) qualora questa dia il via a «un’inchiesta autorizzata giuridicamente dalla Corte Penale internazionale (o la sostenga attivamente) che riguardi presunti crimini commessi da israeliani contro palestinesi» (e anche qualora ottenga lo status di membro a pieno titolo delle Nazioni Unite al di fuori di un accordo con Israele).

Non solo: il senatore repubblicano Rand Paul – lamentando che l’amministrazione Obama sembri poco incline a prendere provvedimenti – ha presentato una proposta di legge ad hoc che bloccherebbe immediatamente gli aiuti economici Usa all’Autorità nazionale palestinese, fino a quando non verrà ritirata l’adesione all’ICC. Il senatore non è nuovo a iniziative di questo tipo: già lo scorso anno aveva presentato un progetto analogo – il Stand with Israel Act of 2014, poi naufragato – che mirava a bloccare ogni aiuto economico fino a quando l’allora neonato governo di unità nazionale Hamas-Fatah non avesse, tra le altre cose, riconosciuto Israele come Stato ebraico.

Le minacce non hanno però scalfito la determinazione di Abu Mazen che ha risposto che andrà avanti per la sua strada (NenaNews, 5/1). Una mossa di questo tipo da parte statunitense, peraltro, potrebbe in realtà rivelarsi controproducente, considerato che i fondi Usa finiscono in gran parte negli apparati di sicurezza dell’Anp che cooperano con i servizi israeliani.

Ed è forse per questo motivo che il neo presidente israeliano Reuven Rivlin ha bocciato la decisione del suo governo di congelare il trasferimento delle tasse destinate all’Autorità palestinese affermando che «non può essere utile né per noi, né per i palestinesi» e auspicando piuttosto l’imposizione di sanzioni ai danni dell’Anp, dal momento, ha detto, che «il presidente Mahmoud Abbas continua a rifiutare i negoziati diretti e prova a imporci un accordo con la forza».

Il governo Netanyahu, dal canto suo, è in un difficile frangente: non può permettersi alcun errore di fronte all’opinione pubblica israeliana, che sembra spostarsi sempre più a destra – anche più a destra del Likud – considerato che ormai manca poco alle elezioni anticipate di marzo. (ingrid colanicchia)

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