Quando la Chiesa tollerava coppie di fatto e concubinato del clero

Il libro del prof. Antonio Martone sul Seicento pignatarese riporta la vicenda di Don Fabio Vecchio che occupa il capitolo sesto del testo, dedicato al concubinato di tale sacerdote di Pignataro che fu denunciato, nell’aprile del 1623, da Giovan Battista Correia presso la Corte Vescovile di Calvi in seguito ad un’ aggressione che avrebbe ricevuto dal Canonico di Pignataro.
La vicenda era iniziata nella Taverna del Vescovo di Calvi con Don Fabio Vecchio, il quale , presenti molte persone, si sarebbe rivolto al Correia, dicendo : ” Come ti pigli pensiero nel dire che io vada in casa di Maria dello Francesco”
Dalle parole il Canonico sarebbe passato ai fatti , dando ” cinque mazzate con uno spontone che teneva in mano vicino alla taverna di Gioanne di Salvia.”
Segue un processo in cui il canonico è accusato anche di procurato aborto e si conclude, dopo l’incarcerazione di Don Fabio nel convento di Calvi, con la condanna all’esilio.

Siamo nel periodo storico in cui la Chiesa aveva deciso di affrontare la questione delle coppie di fatto e del concubinato del clero. Infatti, prima della Controriforma, il concubinato era stato per lungo tempo in Europa non solo tollerato, ma aveva uno Stato giuridico. Non era attribuito ad esso un riconoscimento dello stesso valore del matrimonio, ma ne conteneva – come ha scritto Giovanni Romeo in Amori proibiti. I concubini tra Chiesa ed Inquisizione – gli stessi elementi essenziali.
Le coppie di fatto rappresentavano una realtà diffusa nell’ Italia del Cinque e Seicento, e la Chiesa permetteva e tollerava, ponendosi al limite il problemi dei figli e la loro legittimazione in relazione ai problemi di natura ereditaria.
Bernardino da Siena nel primo Quattrocento motivò l’invito agli uomini a lasciare le concubine, data la provvisorietà del rapporto che era mirato ad accaparrarsi i beni del compagno.
Ha evidenziato Romeo: “Il grande predicatore non usava altre argomentazioni: di rampogna o richiami di tipo etico neppure l’ombra”.
Tale realtà di concubinato coinvolgeva in maniera diffusa il clero. In alcuni casi i sacerdoti si ammogliavano con cerimonie fastose e nel Trentino tale realtà riguardava quasi la metà del clero. Una realtà che la Chiesa permise e tollerò senza problemi fino alla Controriforma che decise di porre un argine, dato che concubini erano tanti sacerdoti.
Tuttavia, anche dopo il Concilio di Trento, le autorità centrali e periferiche della Chiesa si concentrarono nella lotta contro la magia, la bestemmia, la bigamia, piuttosto che contro le coppie di fatto. Soltanto a partire dal Seicento la battaglia contro i concubini divenne prioritaria.
Specialista di storia religiosa del Mezzogiorno, il professore Giovanni Romeo ha approfondito i suoi studi sulla città di Napoli.
La realtà sociale napoletana preoccupava la Curia romana in quanto a Napoli nel Cinquecento vi era un particolare dissenso religioso con posizioni non ortodosse della scuola di Valdès e delle posizioni di Bernardino Occhino che stavano riscuotendo consenso preoccupante per la Curia romana.
Nel Cinquecento e nel primo Seicento le “coppie di fatto” di Napoli erano composte da prostitute che vivevano con il protettore, vedove che avevano trovato una compagnia stabile, giovani coppie che convivevano a seguito di un mancato consenso alle nozze da parte delle famiglie, giovani che firmavano una sorta di intesa davanti al notaio in accordo coi genitori, aristocratici che avevano moglie e concubina, e preti che regolarmente convivevano in forma di “coppia di fatto”.
Fu a partire dagli anni Settanta del Cinquecento che la posizione della Curia arcivescovile napoletana gradualmente pose fine alla tolleranza verso le coppie di fatto e nei confronti del concubinato del clero.

Angelo Martino
redazione

fonte: http://www.comunedipignataro.it/modules.php?name=News&file=article&sid=21598

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