Rischio che «la simpatia di un papa carismatico» faccia «sembrare positiva una struttura che in sé è sbagliata e che deve cambiare»

DOC-2602. ROMA-ADISTA. Se, con l’avvento di papa Francesco, il cambiamento di clima ecclesiale appare a tutti innegabile, il livello delle aspettative legate a una rifondazione della Chiesa varia invece notevolmente. Di certo, tutti o quasi hanno per il papa parole di grande, profondo e caldo apprezzamento, ad esclusione della destra più reazionaria, quella, per esempio, riunita nel Tea Party, a cui, come ha sottolineato John Cassidy sulla rivista New Yorker (4/12), quello che il papa dice nella Evangelii Gaudium deve sembrare «qualcosa di incendiario, specialmente in un Paese come gli Usa, dove gli attacchi morali all’economia di mercato risultano rari nel discorso ufficiale». O ad eccezione di alcune voci sparse, a sinistra, specialmente in Argentina, dove c’è chi fa fatica a separare la figura dell’attuale papa da quella dell’allora cardinal Bergoglio, criticato all’epoca tanto per il suo ruolo di leader spirituale dell’opposizione al governo di Néstor Kirchner, quanto per le sue posizioni riguardo al passato regime militare. Ma anche negli Stati Uniti, dove il passaggio dell’intervista rilasciata dal papa a Ferruccio De Bortoli (sul Corriere della Sera del 5/3) relativo alla questione degli abusi sessuali ha destato in molti perplessità e delusione (v. Adista Notizie n. 10/14).

In America Latina, tuttavia, appare decisamente convinto il sostegno a papa Francesco da parte dei teologi della Liberazione, delle comunità ecclesiali di base, dei movimenti sociali (diversi dei quali hanno anche diffuso recentemente una nota di solidarietà al papa in risposta agli attacchi sferrati contro di lui dalla destra statunitense; v. Adista Documenti n. 1/14), come sta a indicare, tra innumerevoli altri esempi, il numero speciale di febbraio dell’agenzia Alai-America Latina en movimiento, dedicato al tema “Francesco e i segni dei tempi”. «Le aspettative che ha risvegliato questo papa latinoamericano – scrive in apertura del numero il direttore della rivista Osvaldo León – lo hanno trasformato in un fenomeno non solo religioso, ma anche politico, con ripercussioni significative a livello mondiale»: non a caso la rivista Time lo ha designato come “persona dell’anno”, «per aver condotto il papato fuori dal palazzo, in strada» e spinto «la più grande Chiesa del mondo a confrontarsi con le sue più profonde necessità», bilanciando «il rigore con la misericordia». E così realizzando, in meno di un anno, «qualcosa di notevole: non ha cambiato le parole, ma ha cambiato la musica». Un consenso, quello di cui gode papa Francesco, che si spiega, secondo León, con i suoi attacchi al neoliberismo, la sua insistenza sul primato dell’essere umano rispetto al capitale, i suoi appelli alla pace, come pure con «le sue critiche a una Chiesa autoreferenziale, il riconoscimento tacito della Teologia della Liberazione, la sua opzione per gli esclusi». E se la scelta, sul terreno della gerarchia, è stata quella «di mantenere un “equilibrio” calcolato», è chiara però la consapevolezza che «è necessario cambiare». Non per niente, come evidenzia Leonardo Boff, il papa «non è eurocentrico, né romanocentrico né tanto meno vaticanocentrico», ma «proviene da un cristianesimo nuovo che si è andato elaborando nel corso di 500 anni in America Latina con un volto proprio e una propria teologia».

Non tutti si attendono un «cambiamento rivoluzionario», a cominciare da François Houtart, che però riconosce al papa «una vicinanza affettiva ai movimenti e ai poveri», per quanto il suo approccio, sottolinea, sia più tipico della dottrina sociale della Chiesa, con i suoi richiami all’unione e alla collaborazione di tutti in vista del bene comune, che della Teologia della Liberazione, con la sua analisi in termini di opposizione strutturale delle classi sociali. Ma, prosegue, per quanto si condanni «il capitalismo più per i suoi effetti che per la sua logica», «bisogna essere felici che vi siano cambiamenti ed essere presenti negli spazi che si aprono, perché a volte questi spazi possono essere più importanti di quanto si pensi» (www.mst.org.br/node/15715).

Ed è proprio sulla sua vicinanza ai poveri che fa leva il pastoralista Edgar R. Beltrán, colombiano ma residente negli Stati Uniti, per rivolgere al papa, in una lettera, un’originale richiesta: quella di prendersi una vacanza in un Paese africano, «dove stanno morendo migliaia di bambini ogni giorno per mancanza di pane, dove i loro padri e le loro madri stanno morendo di Aids», e dove la sua denuncia sullo scandalo della fame produrrebbe uno straordinario impatto, risuonando come «un “ruggito” irresistibile verso capi di Stato, legislatori e politici». Come avvenuto a Lampedusa, scrive Beltrán, «seguiremmo in televisione la tua celebrazione in un quartiere povero, con la partecipazione dei poveri. Magari senza mitra, simbolo di potere, che dinanzi ai poveri è di troppo, ricordo del dio Mitra inventato dai generali persiani molto prima di Cristo». E rivelando così il volto di una «Chiesa samaritana che vede la vittima, si commuove e interviene».
Più che un papa

Ma, si chiede qualcuno, basterà davvero cambiare solo “la musica”? Basterà quell’«equilibrio calcolato» per riformare radicalmente la Chiesa? Insomma, basterà che il papa sia diverso, per rendere diversa la Chiesa? Scrive Bernardo Barranco (citato da Alai): «La “rivoluzione pastorale” di Francesco è in fin dei conti una provocazione rispetto alla capacità della Chiesa di dialogare con maggiore franchezza e profondità con la cultura contemporanea. Tuttavia, presenta un limite importante: si tratta di cambiamenti dall’alto verso il basso. (…). In altre parole, se le proposte di Francesco (…) non investono il terreno delle Chiese locali, non serviranno a nulla» (El País Internacional, 27/01). In questo senso, se il papa è stato molto chiaro su quello che a suo giudizio deve essere il profilo dei candidati all’episcopato (pastori che siano «vicini alla gente», «miti, pazienti e misericordiosi»; che «amino la povertà», che «non abbiano una psicologia da “Principi”», che siano «capaci di “vegliare” per il gregge», come ha detto nel suo discorso alla riunione della Congregazione per i vescovi del 27 febbraio), tuttavia, come sottolinea Marcelo Barros, non sembra questo il profilo che ha prevalso nella designazione di 12 nuovi membri della potente Congregazione dei vescovi, «a cui spetta proporre al papa il nome dei candidati all’episcopato in tutto il mondo».

Soprattutto, in America Latina e non solo, si fa fatica a digerire la scelta del card. Oscar Rodríguez Maradiaga come coordinatore del gruppo di lavoro incaricato di studiare un progetto di riforma della Curia: se sulla stampa italiana nessuno fa più riferimento al ruolo da lui giocato in occasione del golpe che, il 28 giugno del 2009, ha messo brutalmente termine al processo di cambiamento avviato dal presidente honduregno Manuel Zelaya (v. Adista nn. 79, 83 e 105/09), il popolo latinoamericano non dimentica il sostegno prestato dall’arcivescovo di Tegucigalpa al golpista Roberto Micheletti, e poi al presidente illegittimo Porfirio Lobo e ancora all’attuale presidente Juan Orlando Hernández, diventato tale grazie ai brogli elettorali (v. Adista Notizie n. 43/13).

Se insomma, scrive il teologo Oscar Fortin nel suo blog (blogs.periodistadigital.com/humanismo-de-jesus.php), non ci sono dubbi sulla reale vicinanza di papa Francesco ai poveri, tuttavia, «osservando da vicino coloro che vengono nominati per consigliarlo e per guidare i diversi dicasteri della Chiesa, il papa ci dà l’impressione di qualcuno che voglia tenere la Chiesa istituzionale lì dov’è» (a cominciare dalle responsabilità affidate all’Opus Dei, la quale certo «non gode della reputazione di essere povera e con i poveri»). Cosicché il rischio, evidenziato da Marcelo Barros, è che «la simpatia di un papa carismatico» faccia «sembrare positiva una struttura che in sé è sbagliata e che deve cambiare (la struttura attuale del papato con la sua visione di Cristianità)».

Pertanto, se, come sottolinea il teologo Xavier Pikaza, le cose che dice e che fa papa Francesco non possono non sorprendere positivamente, la Chiesa ha bisogno, però, di qualcosa di «più di un papa (per quanto un papa come Francesco sia necessario)», esattamente come ha bisogno di qualcosa di più di un Concilio.

di Claudia Fanti

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