Il cardinale che denunciò il Vatileaks Viganò sarebbe in procinto di lasciare Washington per tornare a Roma

Monsignor Viganò sarebbe in procinto di lasciare Washington per tornare a Roma, in Vaticano, lo scrive La Repubblica sul suo sito online. Papa Francesco vorrebbe che fosse lui il nuovo presidente del Governatorato, quel Governatorato dal quale era stato estromesso per aver denunciato, nella sua veste di segretario generale, a papa Ratzinger e all’allora segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone, una lunga fila di scandali all’ombra del soglio di Pietro che poi avrebbero dato il via allo scandalo Vatileaks.

Che esistesse una sintonia tra Bergoglio e Viganò e che per il monsignore il clima a Roma fosse cambiato non è un mistero. Papa Francesco ha ricevuto più volte in Vaticano il monsignore, dedicandogli udienze riservate durate a volte anche più di un’ora. Clamorosa quella dello scorso mese di ottobre, quando Bergoglio rinunciò ad assistere al concerto di chiusura dell’Anno della Fede per restare a parlare a Santa Marta con Viganò, che dopo il colloquio uscì dalla stanza con le lacrime confessando di essere stato “ascoltato come un figlio”.

Ma oltre al diverso rapporto col Pontefice starebbe ora maturando il clamoroso rientro di Viganò da quello che altro non è che una sorta di esilio dorato. A Viganò fu infatti assegnato circa un anno fa il compito di andare oltreoceano a rivestire la carica di nunzio apostolico a Washington. Incarico di prestigio che però, all’epoca, suonò come un allontanamento da Roma per l’uomo che aveva tentato di alzare il velo su quegli scandali che opprimevano la Curia. L’allora Papa Ratzinger non ebbe la forza o la voglia di dar seguito alle denunce del monsignore e, forse pressato, decise di affidargli un compito che non suonasse come una bocciatura ma che lo portasse il più lontano possibile da Roma. Viganò cercò di opporsi con forza, appellandosi direttamente a Ratzinger, ma Benedetto XVI, in un drammatico colloquio, gli chiese di accettare il trasferimento, poggiandogli le mani sulle spalle e dicendogli: “Ti prego, fallo per me”.

Le denunce di Viganò, alcune contenute nelle lettere trafugate dall’appartamento papale e pubblicate su giornali, riguardavano l’esistenza di una sorta di lobby per l’assegnazione di appalti, il ricorso alla corruzione tramite mazzette e bustarelle, casi di nepotismo e gestioni allegre di beni della Santa Sede da parte di vescovi e monsignori. Accuse tremende e circostanziate, tutte respinte con una nota ufficiale della Segreteria di Stato, che portarono Viganò in rotta di collisione col cardinal Bertone, dando anche vita ad una sorta di inedito braccio di ferro tra Governatorato e Segreteria di Stato, a cui Benedetto XVI pose fine trasferendo il monsignore a Washington.

Oltretevere si dà ora per imminente il ritorno di Viganò in Governatorato, ma da presidente, in sostituzione del cardinale Giuseppe Bertello, candidato a presiedere la Congregazione per le Cause dei Santi. Per Viganò sarebbe una promozione e nello stesso tempo un risarcimento. Come lo è stato per uno dei suoi più stretti collaboratori, il vescovo Giorgio Corbellini, vice segretario generale del Governatorato, allontanato anch’egli perché troppo vicino a Viganò, ma che il mese scorso il Papa ha nominato presidente dell’Apsa, l’ente che amministra i beni della Santa Sede.

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Carlo Maria Viganò (AP Photo/Gregorio Borgia)

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