Anche vaticanista de La Stampa Tornielli distorce il tema dei preti sposati e la novità delle dichiarazioni del Segretario di Stato Vaticano

Il Vaticanista de “La Stampa” Andrea Tornielli si allinea sulle posizioni di un altro vaticanista, Filippo di Giacomo, e scrive con tono apologetico sulla questione dei sacerdoti sposati e delle recentissime dichiarazioni del Segretario di Stato Mons. Parolin. L’associazione dei sacerdoti lavoratori sposati è interventuta oggi con una nota: “Tornielli e Di Giacomo hanno distorto il senso delle dichiarazioni di Mons. Parolin.

I sacerdoti sposati esistono nella Chiesa Cattolica Romana di rito Occidentale e sono i sacerdoti sposati che hanno un regolare percorso di dimissioni, dispensa e matrimonio religioso e un’ordinazione sacerdotale valida. I sacerdoti sposati che hanno queste caratteristiche sono dentro la Chiesa anche se attulmente per una norma canonica non possono esercitare il ministero pastorale (ndr).

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Di seguito l’articolo di Andrea Torinielli

È stato Benedetto XVI a prevedere per il futuro negli Ordinariati anglo-cattolici la possibilità di ammettere al sacerdozio anche uomini con moglie
Andrea Tornielli – vaticaninsider
Città del Vaticano

«Anche i preti potranno sposarsi, ma soltanto a una certa età…», verseggiava il cantautore italiano Lucio Dalla nella sua indimenticabile «L’anno che verrà». E il tema dei «preti sposati» ritorna ciclicamente sulla ribalta mediatica, spesso confusamente frammischiato a temi di tutt’altra natura e portata, come quello dell’ordinazione sacerdotale delle donne. Se ne parla a motivo della petizione di qualche gruppo di preti, o delle «aperture» contenute nelle interviste di qualche prelato importante.

L’ultimo in ordine di tempo è stato il nuovo Segretario di Stato, l’arcivescovo Pietro Parolin, ancora per pochi giorni nunzio apostolico in Venezuela, che rispondendo a una domanda del quotiano «El Universal» ha specificato: il celibato sacerdotale «non è un dogma della Chiesa e se ne può discutere perché è una tradizione ecclesiastica» ma «non si può dire, semplicemente, che appartiene al passato».

«Si può parlare, riflettere e approfondire questi temi che non sono definizioni di fede – ha aggiunto Parolin – e pensare in qualche modifica ma sempre al servizio dell’unità e tutto secondo la volontà di Dio… Dio parla in molti modi. Dobbiamo fare attenzione a questa voce che ci orienta sulle cause e sulle soluzioni, per esempio la scarsità di clero. Quindi bisogna tenere presenti, nel momento di prendere delle decisioni, questi criteri (la volontà di Dio, la storia della Chiesa) così come l’apertura ai segni dei tempi».

Con le sue affermazioni il nuovo Segretario di Stato ha ribadito quanto stabilito nel 1179 dal Concilio Lateranense III. In quella occasione, oltre ottocento anni fa, la Chiesa – come ricorda Filippo Di Giacomo – stabiliva che il celibato ecclesiastico non è di natura divina, ma solo canonica, una tradizione che appartiene alla disciplina della Chiesa latina e che può dunque essere regolata in maniera diversa. «Il Concilio Lateranense terzo, in sintesi, lasciava intatta la cosiddetta “disciplina apostolica”, quella statuita per la Chiesa indivisa dai sette primi concili ecumenici (gli unici poi riconosciuti anche dalla Chiesa ortodossa), che conferisce l’ordinazione presbiterale anche agli uomini sposati (se giungono all’ordinazione sacerdotale celibi, neanche i preti ortodossi possono più sposarsi dopo l’ordinazione, neanche se restano vedovi), scegliendo però di ordinare per la Chiesa latina solo i celibi».

E qui vale forse la pena di ricordare che neanche nelle Chiese orientali – ortodosse o in comunione con Roma – si è mai posto il problema di far sposare i preti. Si è sempre e soltanto trattato della possibilità di ammettere al sacerdozio (mai all’episcopato) uomini già sposati. Impedendo sempre, invece, che uomini già ordinati possano contrarre matrimonio. Nella Chiesa cattolica i preti sposati esistono già. Ci sono infatti preti sposati nel clero delle Chiese orientali cattoliche (nel 2001, arrivando a Kiev, Giovanni Paolo II venne salutato davanti a una parrocchia dal prete cattolico di rito orientale in compagnia di moglie e figli).

Diverso è il discorso per la Chiesa latina. Fino al 2009 c’erano state delle eccezioni riguardanti singoli passaggi di preti o vescovi anglicani sposati che chiedevano di entrare in comunione con Roma e venivano nuovamente ordinati preti secondo il rito cattolico. Ma la posizione ribadita dal magistero degli ultimi Pontefici, come pure le conclusioni dei Sinodi, è sempre rimasta quella di mantenere la norma del celibato per il clero latino: non è un dogma, ma è un valore, e ha ragioni profonde – hanno scritto i Papi – non soltanto legate a motivi pratici o amministrativi. Per questo si è sempre esclusa la possibilità di aprire, a motivo della carenza di vocazioni, all’ordinazione dei cosiddetti «viri probati», uomini sposati di provata fede, in grado di garantire la celebrazione dei sacramenti nelle comunità ormai prive di clero.

«È un tema che viene discusso nel cattolicesimo occidentale, su sollecitazione di alcune organizzazioni – disse l’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio, nel dialogo con il rabbino Abraham Skorka pubblicato nel libro “Il cielo e la terra – Per ora si tiene ferma la disciplina del celibato. C’è chi dice, con un certo pragmatismo, che stiamo perdendo manodopera. Se, per ipotesi, il cattolicesimo occidentale dovesse rivedere il tema del celibato, credo che lo farebbe per ragioni culturali (come in Oriente), non tanto come opzione universale».

«Per il momento – continuava Bergoglio – io sono a favore del mantenimento del celibato, con tutti i pro e i contro che comporta, perché sono dieci secoli di esperienze positive più che di errori… La tradizione ha un peso e una validità. I ministri cattolici scelsero gradualmente il celibato. Fino al 1100 c’era chi lo sceglieva e chi no… è una questione di disciplina e non di fede. Si può cambiare. Personalmente a me non è mai passata per la testa l’idea di sposarmi».

Pur senza cambiare la posizione tradizionale, ribadita dai predecessori e dai Sinodi dei vescovi, Benedetto XVI nel novembre 2009 ha aperto un nuovo inequivocabile spiraglio, seppure circoscritto alle comunità anglicane decise a entrare nella comunione cattolica. Com’è noto, con la costituzione apostolica «Anglicanorum coetibus» Papa Ratzinger istituiva gli Ordinariati anglo-cattolici. Nel secondo paragrafo dell’articolo 6 della costituzione, dopo che in precedenza si era ribadita la regola del celibato per il futuro, il Pontefice tedesco stabiliva la possibilità di «ammettere caso per caso all’ordine sacro del presbiterato anche uomini coniugati, secondo i criteri oggettivi approvati dalla Santa Sede».

Nelle norme complementari annesse al documento pontificio e preparate dalla Congregazione per la dottrina della fede con approvazione papale, si ribadisce che l’ordinario «può presentare al Santo Padre la richiesta di ammissione di uomini sposati all’ordinazione presbiterale nell’Ordinariato, dopo un processo di discernimento basato su criteri oggettivi e le necessità dell’Ordinariato» stesso. È del tutto evidente che si tratta di una possibilità prevista anche per il futuro, un’eccezione legata alle necessità dell’Ordinariato anglo-cattolico.

Quella di Papa Ratzinger, nel 2009, è stata la prima e più autorevole apertura alla possibilità del «clero uxorato» in un rito della Chiesa latina, messo nero su bianco in una costituzione apostolica. La prima dispensa del genere ufficializzata per una comunità latina dai tempi del Concilio di Trento. Il documento di Benedetto XVI conteneva anche un’altra innegabile novità. Gli «ordinari personali» anglo-cattolici possono anche essere preti sposati e sono equiparati ai vescovi (pur senza esserlo, però potendo usarne le insegne), e dunque fanno parte a pieno titolo delle conferenze episcopali.

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