«L’economia capitalista non sarà mai verde». Un coro di critiche sul processo preparatorio di Rio+20

È iniziato decisamente male il processo preparatorio della Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile nota come Rio+20 (cioè venti anni dopo lo storico Vertice della Terra del 1992), in programma il prossimo giugno a Rio de Janeiro. La prima bozza del documento Onu in vista della Conferenza, dall’evocativo titolo “The future we want” (Il futuro che vogliamo), non lascia infatti molti margini di speranza riguardo alla qualità reale di quel futuro (sempre ammesso che ci sia): chiaramente centrata sul concetto di “economia verde”, la bozza non contiene infatti alcun riferimento alla questione dei limiti del pianeta, della finitezza delle risorse, dell’insostenibilità del modello di crescita, della giustizia ambientale. Del resto, come evidenzia il documento firmato da Altreconomia, Fair, Legambiente ed Associazione Botteghe del Mondo in vista del vertice, dal titolo “Dalla Cop17 di Durban verso Rio+20. Dallo sviluppo sostenibile ad un vero cambio di paradigma”, «concetti come “giustizia climatica e sociale”, “sovranità alimentare”, “mercati locali”, “economia ecologica” sono ancora i grandi assenti del dibattito internazionale». Un dibattito pilotato da un settore privato che «sempre di più cerca di sostituire il concetto di “bene comune” con quello di “bene commerciabile”», ma anche da nuovi attori statali che non sono certamente da meno, come dimostra il fatto che «tra le principali dieci multinazionali classificate per fatturato 2010, al sesto posto spicca la China National Petroleum Corporation, a poca distanza dalla britannica BP», con le stesse politiche nei confronti degli ecosistemi e delle comunità umane: poco importa, infatti, al sistema climatico se, all’interno del modello economico attuale, «una nuova forma di capitalismo, quello “di Stato”» vada «affiancandosi al “capitalismo di mercato”». Così, al sistema globalizzato produttivista/estrattivista, industrialista oggi dominante, orientato alla crescita senza limiti, il documento di Altreconomia, Fair, Legambiente ed Associazione Botteghe del Mondo oppone «un sistema più legato alle specificità dei luoghi e delle comunità umane», basato non sulla globalizzazione ma sull’integrazione tra territori e centrato sull’economia locale ed ecologica, sulla sovranità alimentare e sull’agricoltura sostenibile. Da qui la necessità di promuovere «reti locali capaci di costruire network internazionali, in cui scambiare e testare economie concrete, ma anche sostenere conflitti territoriali contro scelte politiche o infrastrutturali insostenibili», favorendo «la crescita di un protagonismo politico capace d portare sui tavoli che contano (sia nazionali che internazionali) il nuovo modello di società che vogliamo».

In questo quadro, e di fronte all’«inconcepibile» silenzio che, come sottolinea p. Alex Zanotelli, si registra nel nostro Paese riguardo alla crisi ecologica, malgrado sia il «problema più grave che attanaglia tutti», è necessario, sostiene il comboniano in un comunicato dal titolo «Verso Rio+20. Salviamoci con il pianeta Terra», «rimettere in discussione il nostro modello di sviluppo e il nostro stile di vita», informando in tutti i modi possibili affinché «la gente prenda coscienza della gravità della crisi ecologica»: «Mi appello anche ai sacerdoti – scrive Zanotelli – perché nelle chiese parlino di tutto questo: è un problema etico morale e teologico».

Ad appellarsi direttamente al papa è invece Roberto Malvezzi, consulente della Commissione Pastorale della Terra, in Brasile, che chiede a Benedetto XVI «molto più di una preghiera o di un messaggio di solidarietà alle vittime delle grandi catastrofi»: «Attendiamo ancora dal papa – scrive sulCorreio da Cidadania (14/2) – un qualche gesto reale, concreto, visibile in relazione alla preservazione della vita sulla Terra, particolarmente di fronte ai cambiamenti climatici». Sarebbe per esempio un «gesto storico», conclude Malvezzi, se, nei giorni di Rio+20, egli invitasse i rappresentanti di tutte le grandi religioni ad Assisi, per promuovere un appello a «tutti gli uomini e le donne di buona volontà a cercare una soluzione di vita per gli esseri umani e tutti gli altri esseri viventi».

Una soluzione che, insistono tutti movimenti altermondialisti, non potrà certo nascere all’interno del concetto di “sviluppo sostenibile” proposto nel 1992 per conciliare le preoccupazioni per lo sviluppo e quelle per l’ambiente: un concetto che, come sottolinea Via Campesina nel suo appello dal titolo “Recuperando il nostro futuro: Rio+20 e oltre”, non ha in alcun modo arrestato la corsa al profitto del sistema capitalista a scapito delle risorse umane e naturali. Né arresterà tale corsa quell’«ecologizzazione dell’economia» che prende oggi il nome di green economy, basandosi questa, evidenzia Via Campesina, «sulla stessa logica e sugli stessi meccanismi che stanno distruggendo il pianeta e affamando la popolazione»: «L’economia capitalista – si legge nell’appello – non sarà mai verde, perché comporta il sovrasfruttamento delle risorse naturali e dell’essere umano», basandosi su una crescita illimitata in un pianeta che invece ha raggiunto il suo limite. Ed è proprio attraverso la green economy che il capitalismo mondiale persegue nuove forme di accumulazione, in una logica di accaparramento delle risorse naturali del pianeta, considerate «come materie prime per la produzione industriale, come serbatoi di carbonio e come strumenti di speculazione».

 

di Claudia Fanti – adista documenti 3 Marzo 2012

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