Ricordando p. Häring

Lo scorso 3 luglio è ricorso il 20° anniversario della morte di p. Bernhard Häring, uno dei teologi cattolici più noti e controversi del XX secolo, la cui vicenda personale e intellettuale merita di essere presentata anche ai lettori di Moralia. In controtendenza rispetto al disinteresse generale che ha caratterizzato anche questo secondo appuntamento decennale,[1] crediamo infatti che la figura e l’opera di p. Häring abbiano ancora molto da dire alla Chiesa e a chiunque abbia ancora a cuore la formazione di una coscienza morale responsabile.

Libertà e discernimento

Ma chi è stato Bernhard Häring? Nato in Germania nel 1912 ed entrato giovanissimo nella famiglia religiosa dei redentoristi, egli prende parte alla Seconda guerra mondiale tra le fila del corpo sanitario dell’esercito tedesco.

L’esperienza bellica lo segna in modo indelebile anche sotto il profilo intellettuale: come sarà lui stesso a raccontare, Häring matura la convinzione che di fronte all’obbedienza ottusa e criminale manifestata nei confronti della tirannide nazista anche da parte di molti cristiani, il carattere di un discepolo di Cristo vada formato anzitutto sul principio della responsabilità e del discernimento, più che su quello dell’obbedienza.

Una volta conclusasi l’immane tragedia del secondo conflitto mondiale, accogliendo la proposta dei suoi superiori pur non senza qualche resistenza, Häring si dedica corpo e anima allo studio, all’insegnamento e alla divulgazione della teologia morale. Una disciplina, o meglio una forma di intelligenza della fede e della vita, che egli interpreta in una chiave essenzialmente personalista, persuaso che la risposta all’interrogativo etico fondamentale, ossia «quale persona devo divenire secondo il disegno di Dio?», sia sintetizzabile in questi termini: «Noi possiamo, vogliamo e perciò dobbiamo divenire persone responsabili, libere, fedeli e creative nella sequela di Cristo».

La fatica della critica

Ecco, in estrema sintesi, il Leitmotiv di tutta la sua esistenza: dei momenti felici ed esaltanti – come gli anni che lo vedono tra i teologi protagonisti del concilio Vaticano II prima, e successivamente, apprezzato professore, brillante conferenziere e autore di innumerevoli libri di successo –, ma anche di quelli più aridi e faticosi seguiti alla pubblicazione dell’Humanae vitae, al cancro che lo colpisce alla gola, al processo istruito dalla Congregazione per la dottrina della fede dopo l’uscita di Etica medica nei primi anni Settanta, e al progressivo ritiro dalla scena pubblica. Un periodo – quest’ultimo – in cui p. Häring assume delle posizioni critiche verso alcuni aspetti del magistero morale di Giovanni Paolo II e verso alcune modalità di esercizio dell’autorità ecclesiastica che egli vorrebbe maggiormente ispirate a fiducia, trasparenza e franchezza.

Si spiegano così gli ultimi volumetti di Häring: Perché non fare diversamente? Perorazione per una nuova forma di rapporti nella Chiesa (1993); È tutto in gioco. Svolta nella teologia morale e restaurazione (1994); Il coraggio di una svolta nella Chiesa (1997); titoli provocatori, forse, ma che non supportano né giustificano le reazioni di chi ha appiccicato su di lui l’etichetta del teologo inaffidabile, sospetto e ribelle.

[1] A questo proposito segnaliamo l’iniziativa programmata il prossimo 9 ottobre presso l’Accademia Alfonsiana di Roma, dove si terrà una prolusione intitolata «A 20 anni dalla scomparsa di Bernhard Häring: quale eredità per l’oggi?»http://www.alfonsiana.org/images/pub/Locandina_2018-2019.pdf (10.9.2018).

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