Gay in Vaticano: «Così Sodoma racconta la mia storia»

Gay in Vaticano: «Così Sodoma racconta la mia storia»

Dietro la rigidità c’è sempre qualcosa di nascosto. In tanti casi una doppia vita». Queste parole, pronunciate da Francesco durante l’omelia mattutina del 24 ottobre 2016 a Santa Marta, sono da tenere a mente nel dipanarsi (560 pagine) dell’ultimo libro-inchiesta di Frédéric Martel. Tradotto in otto lingue, Sodomasarà nelle librerie di 20 Paesi a partire dal 21 febbraio. Una data, questa, non casuale, dal momento che proprio a partire da quel giorno (fino al 24) il Papa incontrerà in Vaticano i presidenti delle Conferenze episcopali per parlare di prevenzione di abusi su minori e adulti vulnerabili.

Se nel volume tale tema resta propriamente in sordina, a essere preponderante, anzi primario, in esso è quello dell’omosessualità del clero. Che, guarda caso, rispetto agli abusi è stata posta in un rapporto di causa-effetto proprio dal ben noto dossier Viganò, alla cui diffusione mediatica, e non ai contenuti, si deve la successiva convocazione dell’imminente summit vaticano. La lettura “omosessualista” dell’ex nunzio Viganò e di tanti prelati, ascrivibili all’area del conservatorismo ecclesiale, non collima infatti con quella di Bergoglio, che ravvisa invece la causa degli abusi nel clericalismo.

Ed è il clericalismo l’atteggiamento ricorrente che l’autore ha riscontrato non solo in alcuni cardinali ma anche in vescovi e sacerdoti, con cui è entrato in contatto nel corso di quattro anni. Un clericalismo, si badi bene, non correlato, nell’indagine del sociologo francese, alla pedofilia. Ma, bensì, alla doppia vita omosessuale di semplici sacerdoti come di prelati in un meccanismo di relazioni e connessioni capaci d’influire sulla gestione del potere ecclesiastico.

A confrontarsi con Martel anche ex-sacerdoti, compresi quelli una volta operanti in Vaticano, spinti da un’idiosincrasia verso il doppiopesismo dei superiori gerarchici d’un tempo e l’omofobia di non pochi d’essi.
Tra quest’ultimi c’è anche chi scrive. La mia vicenda, sia pure con talune inesattezze, apre il primo capitolo del libro. In esso si racconta di una telefonata fattami da Bergoglio il 15 ottobre 2013. Il papa, che aveva ricevuto, il giorno prima, una mia lettera per le mani del card. Raffaele Farina (già mio superiore durante il servizio presso la Biblioteca Apostolica Vaticana), volle chiamarmi per esprimere «stima e commozione» per il mio «coraggio e coerenza» nell’aver deciso d’abbandonare il ministero sacerdotale nel 2006. Decisione presa per vivere liberamente la mia omosessualità.

Nel capitolo è riassunta la mia storia: dall’entrata in Seminario a Benevento appena 15enne, consapevole d’essere gay ma fortemente intenzionato, su consiglio di confessori e direttore spirituale, a incamminarmi verso il sacerdozio visto come cammino di redenzione da una condizione considerata peccaminosa e inaccettabile, all’ordinazione presbiterale all’età di 24 anni. Poi, l’arrivo a Roma per il biennio di specialistica in teologia dommatica presso la Pontificia dell’Università della Santa Croce e il fare i conti con una realtà a lungo esorcizzata a contatto con un mondo ecclesiastico romano del tutto differente da quello di provincia, fortemente improntato a un rigore ascetico e a un conservatorismo dottrinario.

Quindi il primo innamoramento con un sacerdore regolare e la prima crisi nel 2002 con l’intenzione d’abbandonare il ministero, spinto anche dal rimorso di non osservare l’obbligo celibatario assunto.
Nel 2003, infine, la chiamata in Segreteria di Stato come componente della Sezione Lettere Latine, la dimora presso la Domus Sanctae Marthae, la collaborazione alla pagina culturale de L’Osservatore Romano. Alle invidie, che sempre s’innescano in certi ambienti, offrii indubbiamente un supporto con un atteggiamento non solo strafottente ma incauto. Anche perché la crisi era tutt’altro che superata.

Look curato e spesso “borghese” a differenza dell’abito talare sempre precedentemente indossato, abbandono graduale della celebrazione della Messa (ma non perché avessi perso all’epoca la fede, come mi si accusò, ma semplicemente perché non riuscivo a perdonarmi), un nuovo innamoramento.

Le voci sulla mia omosessualità furono così ingigantite che i superiori della Segreteria di Stato obbligarono il mio vescovo a richiamarmi in diocesi per affidarmi un incarico di rilievo. Obbligo da questi disatteso in quanto da lui ritenuto una palese ingiustizia a fronte di situazioni notoriamente scandalose e minimizzate. Intervenne Mario Agnes, l’allora direttore deL’Osservatore Romano, presso Stanisław Dziwisz, segretario di Giovanni Paolo II (oggi cardinale arcivescovo di Cracovia), e si giunse a una soluzione di compromesso: non era possibile per me
restare più in Segreteria di Stato ma era disposto il trasferimento alla contigua Biblioteca Apostolica Vaticana.

Qui fui nominato segretario degli allora cardinale bibliotecario, Jean-Louis Tauran, e prefetto Raffale Farina.
Ma oramai era sempre più maturata in me la convinzione di abbandonare il sacerdozio: volevo “uscire dall’armadio” senza contare il mio aperto dissenso dalle posizioni magisteriali su determinati aspetti. Persisteva però in me la paura di fare da solo questo passo, preoccupato soprattutto d’arrecare un dolore ai miei genitori. Ho fatto così in modo d’essere condotto a tale decisione.

Ecco come lo stesso Martel la racconta nella parte finale del 1° capitolo, non omettendo di ricordare due importanti conferme: «Secondo la versione che Lepore mi fornisce (confermatami dai cardinali Jean-Louis Tauran e Farina), ha scelto “deliberatamente” di consultare molti siti gay sul suo computer dal Vaticano e di lasciare aperta la sessione, con articoli e siti compromettenti.

“Sapevo molto bene che tutti i computer in Vaticano erano sotto stretto controllo e che sarei stato rapidamente colto in flagrante. Ed è andata così. Sono stato convocato e le cose sono andate molto velocemente: non c’è stato processo, non c’è stata punizione. Mi è stato chiesto di tornare nella mia diocesi e di occupare un posto importante. Ho rifiutato.”

L’incidente è stato preso sul serio; meritava questo trattamento agli occhi del Vaticano. Francesco Lepore è stato allora ricevuto dal cardinale Tauran, “che era estremamente triste per quanto era appena accaduto”:
“Tauran mi ha gentilmente rimproverato di essere stato ingenuo, di non sapere che ‘il Vaticano aveva gli occhi dappertutto’ e mi ha detto che avrei dovuto essere più prudente. Non mi ha accusato di essere gay, ma solo di essere stato individuato! Le cose sono finite così. Pochi giorni dopo, ho lasciato il Vaticano; e ho definitivamente smesso di essere un sacerdote».

espresso.repubblica.it

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