Preti sposati… intelletuali in disuso?

Tornare allo scoperto per ridare spazio allo spirito critico…

Don Giuseppe Serrone teologo e giornalista freelance a difesa della libertà di espressione seriamente minacciata in tante parti del mondo.

Le ideologie massificanti dono ancora vive  e l’avvento dell’informatica non ha  schiuso le porte a un’era in cui la creatività possa esplodere in tutte le sue forme, dalla letteratura all’arte alla scienza alla religione.

Emmanuel Mounier sosteneva che ogni discorso riguardante l’intellettuale non possa prescindere da due condizioni: l’impegno verso la società nel denunciare il male (o i mali) del mondo e l’ancoraggio alla trascendenza, o almeno a un’autotrascendenza, cioè al senso del limite del desiderio di onnipotenza dell’uomo. Che il termine dia fastidio o sia quasi estinto (e dopo i compromessi col potere cui abbiamo assistito nel ’900, i tanti “tradimenti dei chierici” forse non è del tutto un male che si sia giunti a una perdita d’aureola), purtuttavia sentiamo la mancanza di figure pubbliche portatrici di un pensiero critico, capaci di scalfire e porre in discussione il sistema di potere.

Abbiamo bisogno di «una figura di intellettuale che si colloca all’interno dei dispositivi di potere e vi svolga un lavoro ai fianchi denunciando le chiusure senza mai gettare la spugna». L’intellettuale riluttante è chi non cede alla tentazione del congedo e al senso di frustrazione e sceglie di resistere alle sirene del neocapitalismo e all’ondata di antiumanesimo. Decide cioè di «opporsi, dire di no, “riluttare” anche al suo stesso ruolo e alle sue eventuali competenze privilegiate ». Se è scomparso l’intellettuale universale che pretendeva di parlare a nome di tutti, o l’intellettuale organico di gramsciana memoria, il fautore del pensiero critico non può limitarsi a svolgere la funzione del tecnico o del politico del sapere. Deve affilare le armi ed esprimere una “contro-cultura”, spezzando il clima di postverità e invocando nuovi spazi per la riflessione e la meditazione in un tempo che pare averle abolite.

«Nessuna idea o immagine della verità può chiamarsi fuori dall’esperienza del credere, e se si illude di farlo diventano subito manifesti gli effetti autoritari della verità stessa ». Cosa aspettano le ragioni e le fedi a mettersi al lavoro?». Forse che non ne abbiamo bisogno anche oggi?

tratto da Avvenire

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