Si gioca al casinò 600mila euro dei fedeli. Il prete ludopatico

Venezia – Se i preti sono malati di sesso. D’amore. E di… gioco. Due anni fa don Contin, quel parroco, ormai ex, della parrocchia di San Lazzaro, nel padovano, che organizzava festini, orge, faceva sesso con le amanti, in canonica aveva falli in lattice disposti in ordine crescente e tra gli scaffali aveva i video delle orge catalogati con i nomi dei Papi.

Ecco, l’altro giorno don Contin ha patteggiato un anno, pena sospesa, e un risarcimento da 11 mila e 500 euro, per lesioni personali aggravate e minacce nei confronti di una sua ex amante.

Ma ieri a una trentina di chilometri da quella parrocchia, è emersa la verità su un altro caso, un altro prete. Questa volta malato di gioco. E anche questo ha patteggiato due anni di reclusione per essersi intascato 600 mila euro giocandosi i soldi delle offerte, quelle dei fedeli, quelle che ogni domenica la gente che va a battersi il petto in chiesa mette nell’apposita busta. Dopo il verdetto ha promesso: «Restituirò tutto, datemi solo un po’ di tempo».

Il parroco incriminato, anche lui ormai ex, è don Flavio Gobbo, della parrocchia dei Santi Vito e Modesto di Spinea, un comune in provincia di Venezia. Soldi, di proprietà della parrocchia, che sarebbero dovuti servire per realizzare un oratorio, ma che invece il don ha preferito investire nel gioco d’azzardo.

Il caso era scoppiato ancora nell’autunno di due anni fa quando don Gobbo se n’era andato improvvisamente. La Diocesi di Treviso in quell’occasione aveva comunicato che il parroco aveva sospeso il servizio per «una situazione di affaticamento» che lo aveva «spinto a chiedere ai superiori un tempo di riposo», concessogli dal vescovo.

Ma in realtà poco dopo si scoprì che dalle casse della parrocchia mancavano dei soldi, inizialmente si parlava di duemila, tremila euro. Da lì partirono le indagini che hanno portato ad accertare che il buco è in realtà maggiore. Sono circa 600 mila euro. Un debito creato in poco tempo, da quando don Gobbo aveva iniziato a reggere la parrocchia di Spinea. Ad accorgersi è stato il Consiglio per gli affari economici, che aveva subito avvisato il vescovo di Treviso. I soldi sarebbero spariti un po’ alla volta. Don Gobbo «prelevava» goccia dopo goccia e poi li restituiva, ma poi non è stato più in grado di contenersi e ha iniziato a vendere anche alcuni beni della parrocchia, che tra l’altro è pure una delle più ricche della Diocesi. Aveva detto che quei soldi sarebbero serviti per farci l’oratorio. Che però non è mai stato realizzato.

Mercoledì si è chiuso il processo a suo carico, il don che è stato sospeso dalla diocesi, ora ha avviato un percorso di cura per ludopatia, a cui fa sapere la diocesi «ha accettato fin da subito di sottoporsi».

Ma né la parrocchia, ne il vescovo si sono costituiti parte civile: prima della conclusione delle indagini preliminari, il don ha firmato un accordo transattivo con il quale si impegna a restituire, a rate, almeno una parte del denaro sottratto.

Il Giornale

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