Preti sposati per coprire vuoto che allarma la Chiesa: mancano ottomila parroci

Tra i motivi dell’emergenza c’è il calo delle vocazioni. “Ora il Papa ci accolga nelle parrocchie” l’appello offerta del Movimento Internazionale dei Sacerdoti Lavoratori Sposati fondato nel 2003 da don Giuseppe Serrone.

I dati sono stati riportati in un articolo de “La Stampa” ed. del 25/11/2017 a firma di Agasso e Tornielli.

“Ci dovremo abituare alla scomparsa della tradizionale figura del parroco, guida unica della chiesa che sorge vicino a casa nostra, factotum per i sacramenti, il culto, l’oratorio e le attività sociali. Lo dicono i numeri (forniti dalla Conferenza episcopale italiana e dall’Istituto centrale per il Sostentamento del Clero): nelle 224 diocesi italiane le parrocchie sono 25.610, mentre i parroci 16.905. Il bilancio è un meno 8.705, che significa: molti sacerdoti devono guidare due o tre parrocchie, quando va bene. Quando va male, anche 15, anche 19, come don Maurizio Toldo nella diocesi di Trento. In loro aiuto ci sono 6.922 viceparroci, ma la coperta resta corta. E senza prospettive di inversione di rotta: il calo di vocazioni – circa il 12% nell’ultimo decennio – interessa anche il nostro Paese.

Dunque non è pensabile mantenere in vita come un tempo tutta la rete capillare di parrocchie e chiese che intessono le strutture delle città e dei paesi, tantomeno garantire le messe in orari comodi per tutti. Ma se il modello don Camillo, immortalato nei romanzi di Giovannino Guareschi e citato anche da Papa Francesco al recente convegno della Chiesa italiana di Firenze, appare in declino, questo non significa che le parrocchie rimarranno senza un prete. Paragonare solo il numero delle parrocchie con quello dei parroci può servire a prendere coscienza del problema, ma rischia di essere fuorviante. Infatti ci sono altre cifre di cui tenere conto: i sacerdoti – secolari, ossia diocesani, e religiosi appartenenti a famiglie religiose – sono infatti quasi 35mila, di cui, nel 2016, 31.728 attivi, mentre 3.082 sono non operativi per motivi di età o di salute (senza dimenticare i 399 impegnati nelle missioni del Terzo Mondo).

Poi, già da diversi anni le diocesi si sono attrezzate per sopperire alla mancanza di clero: c’è chi ha favorito l’arrivo di seminaristi da altre nazioni, in particolare dall’Africa, l’America latina e l’Asia. Più di mille, si legge in un dossier della rivista Popoli e Missione delle Pontificie Opere missionarie. E c’è chi ha sperimentato le unità pastorali, come volle fare vent’anni fa il cardinale Carlo Maria Martini a Milano, unendo alcune parrocchie a due a due, e ponendole sotto la responsabilità di un unico parroco. Le unità pastorali sono state poi trasformate in comunità pastorali: la parrocchia resta, con un prete che vi risiede, ma è inserita in una comunità più grande, che raduna diverse parrocchie sotto un unico responsabile che rimane in carica per 9 anni e un direttivo che vede presenti gli altri preti, ma anche laici. «In certi casi – spiegano dalla diocesi di Milano – c’è un’unica comunità pastorale che raggruppa tutte le parrocchie del paese: come nel caso di Cernusco sul Naviglio, tre parrocchie unite, o Brugherio, quattro parrocchie unite. Ogni parrocchia continua ad avere un prete che vi risiede, ma non è più il parroco». Nella diocesi ambrosiana le parrocchie sono 1107, i parroci poco meno di 800, i preti – compresi i religiosi e quelli ritirati – sono circa 3.000.

La necessità di coordinare meglio le forze esistenti è ben visibile anche nei centri storici: a Chioggia, in provincia di Venezia, città lagunare con moltissime chiese, c’è un responsabile unico per quattro parrocchie, ma in ognuna viene celebrata la messa grazie anche all’aiuto dei sacerdoti anziani.

Nei paesi di provincia i campanilismi – anche parrocchiali – sono più difficili da superare, ma ci si dovrà fare una ragione, perché la tendenza generale è quella per esempio di Carmagnola, nel Torinese, circa 30mila abitanti: fino a pochi anni fa c’erano 7 parroci per 7 parrocchie, ora i parroci sono 3, aiutati da un viceparroco e 7 preti tra cui quattro in pensione. Meno battuta è un’altra via, quella del coinvolgimento dei laici, che costituendo comunità di famiglie possano vivere nella parrocchia facendosene carico per tutto ciò che non richiede la presenza del prete”.

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