L’Italia forse non è un Paese per vecchi

La longevità è un concetto rassicurante, fa pensare ai nonni che accompagnano i nipotini al parco, al Natale tutti insieme, alla saggezza dei consigli e alla meraviglia dei ricordi. Ma il romanticismo dell’immagine si frantuma in un attimo se si fanno i conti con la realtà, dati alla mano. L’aumento dell’aspettativa di vita ha contribuito alla crescita della popolazione anziana e, allo stesso tempo, non sono mai nati così pochi bambini in Italia come nel 2016: appena 474mila, ha registrato l’Istat. Il Paese è al secondo posto al mondo per longevità della popolazione, ma allo stesso tempo la popolazione attiva diminuisce creando preoccupazioni crescenti per i conti pubblici.

Non solo, essere anziani non significa avere un pò di acciacchi ogni tanto, implica invece in grande percentuale la possibilità di contrarre malattie croniche, gravi, incurabili. Che pesano sul sistema sanitario nazionale e sulle famiglie in termini di spesa e assistenza. L’obiettivo mondiale è “la vecchiaia attiva e in salute”, ma in Italia, e a denunciarlo sono proprio i geriatri, le cose non sembrano andare esattamente in questo verso. Come affrontare il problema della salute degli over 60 sarà uno dei temi al centro del Congresso della Società di Geriatria che si terrà dal 30 novembre al primo dicembre a Napoli.

Uno degli argomenti che verranno affrontati riguarda il grave deficit di formazione: a oggi dalle scuole di specializzazione escono solo 200 geriatri all’anno, “ma ne servono decisamente molti di più”, spiegano alla Sigg. Perchè mentre gli anziani aumentano in maniera esponenziale, i numeri dei medici dedicati a loro restano fermi al passato: “Non c’è un’adeguata sensibilità”, dice Fabrizio Antonelli Incalzi, presidente eletto della Società, si è fermi a standard passati, ma ora l’emergenza è nella realtà, bisogna coprire il fabbisogno”. Negli anni scorsi la Società cercò di creare la geriatria di base così come per i pediatri, ma vi furono forti opposizioni, compresa quella dei medici di famiglia.

Oggi il tema si ripropone con urgenza e dal Congresso potrebbero essere lanciate nuove proposte: dalla geriatrizzazione dei medici di base, all’ottimizzazione dell’assistenza domiciliare per risparmiare agli anziani penosi e dannosi ricoveri, alla geriatria d’urgenza nei pronto soccorso. Insomma, serve subito un intervento per evitare che l’Italia si trasformi in un Paese non adatto ‘ai vecchi’. Del resto, i dati forniti da Istat, Meridiano Sanità e Istituto Besta ben illustrano il fenomeno. La tendenza all’invecchiamento non riguarda solo noi: nel 2015 – indicano all’Istituto neurologico Besta di Milano – solo il 13% della popolazione aveva 60 anni, nel 2020 è previsto che la percentuale raddoppi. In Europa si prevede che l’indice di dipendenza, cioè il rapporto fra la popolazione anziana e quella in età lavorativa passi tra il 2015 e il 2030 dal 28,8 a 39,1.

Nello stesso periodo in Italia l’indice passerà da 33,7 a 44,3, confermandosi tra i più elevati d’Europa. Gli italiani vivono in media 82,8 anni, nell’ultimo decennio sono ben 20 (+4,2 anni dal 2006) gli anni vissuti in uno stato di salute non buono, o con malattie gravi. Con l’invecchiamento e la diffusione di patologie ad alto impatto, è un dato di fatto l’aumento dei costi correlati, sia diretti che indiretti. Pari, questi ultimi, al 73% dei costi totali delle demenze e al 53% dei costi totali generati dalle neoplasie. Quindi, stando al Rapporto 2017 di Meridiano Sanità, “se oggi l’Italia presenta uno stato di salute molto buono, superiore alla media europea, in futuro potrebbe non riuscire a garantire il mantenimento o il miglioramento delle performance registrate fino ad oggi. Gli economisti lanciano proposte per una soluzione: favorire l’immigrazione da Paesi svantaggiati dove l’età media è più bassa, investire nella ricerca e nello sviluppo di nuove tecnologie, utili per rendere più produttivi i lavoratori.

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