Bimbo con 3 genitori, dopo un anno pubblicati i dettagli della tecnica

A un anno dall’annuncio della nascita del primo bambino con il patrimonio genetico di tre genitori, i dettagli scientifici di quell’intervento sono stati pubblicati nell’edizione online della rivista Reproductive Biomedicine dal gruppo di John Zhang, del centro per la fertilità New Hope di New York. Dopo le accese polemiche scatenate dall’annuncio di quell’intervento, il dibattito torna a scaldarsi sul sito della rivista Nature e l’opinione condivisa dagli esperti è che un parere definitivo dovrà comunque basarsi sui dati a lungo termine relativi alla salute del bambino.

La tecnica era stata utilizzata dal gruppo di Zhang per evitare la trasmissione della malattia neurologica chiamata sindrome di Leigh e dal Dna esterno al nucleo, racchiuso nelle centraline energetiche delle cellule chiamate mitocondri. Poiché questo Dna si trasmette solo per via materna, i ricercatori avevano trasferito il nucleo della donna portatrice della malattia nell’ovocita di una seconda donna, il cui Dna mitocondriale non era a rischio di trasmettere malattie. .

L’ovulo così modificato è stato quindi fecondato e l’embrione così ottenuto è stato trasferito nell’utero della donna che era portatrice della malattia. Per questo motivo si è detto comunemente che il bambino aveva tre patrimoni genetici: quello della madre, quello del padre e il Dna mitocondriale di una donatrice. Già nel 2016, comunque, molti gli esperti consideravano errata questa interpretazione, sostenendo che l’unico Dna che identifica i genitori è quello del nucleo. .

I dettagli tecnici pubblicati ora dal gruppo di Zhang riguardano le tecniche utilizzate per favorire l’integrazione del nucleo della madre nell’ovocita della donatrice. I ricercatori rilevano poi che il Dna nucleare della madre potrebbe essere portatore di altre malattie, ma che la risposta a questa domanda potrà arrivare solo a lungo termine. .

Lo stesso Zhang, rileva Nature, ha detto di voler raccogliere ulteriori dati studiando gli ovuli prelevati da donne fra 42 e 47 anni per verificare se i mitocondri di donatrici più giovani possono aumentare le probabilità di ovociti più ‘anziani’ di sviluppare una gravidanza. Si apre un ambito nuovo e da considerare con attenzione perché, se i risultati saranno positivi, potrebbe costituire un notevole passo in avanti nella prevenzione delle malattie mitocondriali.

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