Documenti inediti provano che a ostacolare la causa di canonizzazione furono soprattutto ambienti curiali ostili al suo presunto filomarxismo e invidiosi dei suoi successi di popolo. Domani a San Salvador la messa di beatificazione davanti a 250mila fedeli

CITTÀ DEL VATICANO. Di nemici Oscar Romero, il vescovo salvadoregno ucciso il 24 marzo del 1980 mentre celebrava messa su un altare nella cappella di un ospizio per anziani a San Salvador, ne aveva tanti. Molti fra i suoi confratelli vescovi. Molti in Vaticano, fra prelati ossessionati dal suo presunto filo marxismo e invidiosi dei suoi successi di popolo. Ma ciò che non si è mai detto fino in fondo è che fra questi non si possono in nessun modo annoverare i due Papi che, da lontano, lo seguirono nella sua difficile epopea: Paolo VI e Giovanni Paolo II. È quanto si evince dai documenti, fino a oggi inediti, contenuti nella causa di beatificazione che ora, grazie a Francesco, è stata definitivamente sbloccata. Un materiale prezioso di cui si è avvalso Roberto Morozzo della Rocca in “Oscar Romero. La biografia”, edita da San Paolo.

Su tutto vale un’immagine. È il 6 marzo del 1983 quando Giovanni Paolo II si reca in visita in Salvador. Si è ancora in piena guerra civile. Ma il Papa, derogando clamorosamente a un programma che evita di fare memoria dell’arcivescovo, vuole pregare sulla sua tomba. La vettura del Papa devia dal percorso e giunge, attraverso strade deserte, alla cattedrale, che è chiusa, tanto che si deve attendere qualche minuto alla porta prima che qualcuno trovi le chiavi. Wojtyla può infine inginocchiarsi davanti alla tomba dell’arcivescovo ucciso. Ed esclama più volte: “Romero è nostro”, rivendicando il carattere ecclesiale, religioso, sacerdotale della vita di Romero.

Romero subì un ostracismo ecclesiale notevole, che molto lo fece soffrire. Il 14 dicembre del 1978 si presentò improvvisamente a San Salvador, senza che Romero fosse nemmeno avvisato, il vescovo argentino Antonio Quarracino inviato come visitatore apostolico dalla Congregazione per i Vescovi, cioè dal cardinale Sebastiano Baggio. Influenzato da parte dell’episcopato salvadorgeno che invidiava il successo di popolo di Romero, Baggio voleva di fatto destituirlo. Romero subì in silenzio. Ma dopo che Giovanni Paolo II incontrò Romero a Roma, di colpo l’ostilità di Baggio mutò. Il giorno dopo l’udienza Romero passò dal prefetto dei vescovi che, scrive Morozzo della Rocca, lo attendeva “con cordialità”. Improvvisamente aveva smarrito quella severrità che gli aveva dimostrato in occasioni precedenti.

Già con Paolo VI la tela dei detrattori di Romero lavorava alacremente sull’asse San Salvador-Roma. Tre vescovi suffraganei dell’arcidiocesi, Alvarez di San Miguel, Aparicio di San Vincente e Barrera di Santa Ana, assieme al nuovo vescovo ausiliare René Revelo, promosso in quel posto da un ingenuo Romero, pompavano nelle orecchie dei prelati di Roma maldicenze a non finire. La loro tesi era che l’arcivescovo fosse “eterodosso, insano di mente, malato psichico in forma grave e fosse plagiato dai suoi consigliere, specialmente dai gesuiti”. E ancora: “L’arcivescovo era un uomo pericoloso che andava fermato. L’unità della Chiesa salvadoregna sarebbe ritornata quando Romero se ne fosse andato”. Contro le arringhe dei detrattori, a cui presto si aggiunse anche il nunzio Gerada che dichiaratamente iniziò a lavorare per la sua rimozione, Paolo VI fece da parafulmine. “Coraggio, è lei che comanda”, gli disse Montini nell’aprile del 1977. A conti fatti, l’amicizia con Paolo VI “aveva protetto Romero. Baggio nutriva forti dubbi sul suo operato, per il diluvio di informazioni negative che pervenivano a Roma a cominciare dal nunzio Gerada, ma il rapporto con il Papa funse da ombrello per Romero”, almeno fino alla morte del Papa, il 6 agosto 1978.{}

La biografia di Morozzo della Rocca si basa su documenti segreti. Essi fanno parte del corpus della stessa causa di betaificazione, seppure è vero anche il contrario. È stato anche il lavoro di Morozzo della Rocca a portare Romero alla beatificazione, come evidenzia anche Andrea Riccardi nella prefazione al volume. Senza le ricerche e gli studi di Morozzo su Romero, condensati in questa Biografia, il processo di beatificazione di Romero forse non avrebbe avuto esito felice, rimanendo imprigionato nelle contrapposizioni dei decenni passati. L’ostilità ecclesiastica verso Romero, infatti, è continuata anche dopo la sua morte. Come quando era in vita, i detrattori hanno cercato di bloccare la causa, oggi come ieri ossessionati dal vangelo sine glossa di Romero, dal suo essere tutto per tutti, soprattutto per i poveri, incuranti delle accuse di marxismo tipiche di un cattolicesimo di retroguardia. Domani, finalmente, la cerimonia di beatificazione: a celebrarla a San Salvador – davanti a 250 mila fedeli – sarà il cardinale Angelo Amato, prefetto per le cause dei santi. Con lui molti vescovi dell’America latina e più di mille sacerdoti.

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