Il prete e lo psicologo
Entrambi hanno l’obiettivo di alleviare il mal-essere di chi si affida loro, entrambi lo fanno attraverso l’uso dell’ascolto e della parola, e vi saranno altre analogie, ma non tali da far combaciare le due figure. Ma ciò su cui ritengo valga la pena soffermarsi è l’equivoco più comune, ossia il paragonare lo psicologo ad un confessore, un amico
OPINIONI – Nei mesi scorsi ho provato a caratterizzare la figura dello psicologo-psicoterapeuta, a identificarlo rispetto allo psichiatra o al neurologo, ma vi sono ancora altre distinzioni necessarie per creare una sorta di mappa che possa correttamente guidare nelle scelte, anche se ammetto che proprio non avevo pensato al prete! E me lo ha fatto notare proprio un parroco che, conoscendo la mia professione, un giorno mi apostrofa: “gli psicologi stanno prendendo il posto dei preti”, dando così voce a quella tendenza che molti “non addetti ai lavori” hanno ad assimilare le due figure.
Certo, entrambi hanno l’obiettivo di alleviare il mal-essere di chi si affida loro, entrambi lo fanno attraverso l’uso dell’ascolto e della parola, e vi saranno altre analogie, ma non tali da far combaciare le due figure, anche se, a ben vedere, devo modificare un mio pensiero, ossia che una differenza centrale risiederebbe nel fatto che si fa lo psicologo/psicoterapeuta, mentre si è sacerdote/uomo di Chiesa. Da una parte una professione, dall’altra una scelta di vita. Ecco, sempre più vivo nella quotidianità quanto anche quella dello psicoterapeuta sia una scelta esistenziale che implica una serie di attenzioni rivolte al proprio stile di vita, alla coerenza e alla visibilità, al salvaguardare i confini tra sé e altro (paziente), conscia di quanto ogni atto, comportamento, pensiero o atteggiamento possa avere influenza sulla relazione terapeutica e sul percorso delle persone di cui ci si prende cura.
Ma ciò su cui ritengo valga la pena soffermarsi è l’equivoco più comune, ossia il paragonare lo psicologo ad un confessore, un amico, comunque a qualcuno con il quale ci si confida e a cui si chiedono consigli. Ovviamente il sacerdote stesso non fa solo questo e, soprattutto al giorno d’oggi, è fondamentale per la nostra salute spirituale, per ricevere sostegno e conforto nelle difficoltà, così come per gioire insieme nella preghiera. Egli ha il compito di trasmettere la fede, ha la facoltà di assolverci dai peccati, di emettere un giudizio sul nostro comportamento, accompagnandoci verso un cammino di salvezza. Uno psicologo non può e non deve fare questo: certo, anch’egli si prende cura della sofferenza umana, ma in un clima di sospensione del giudizio in quanto suo compito è non certo salvare, quanto piuttosto fare in modo che la persona possa provare a perdonare se stessa, possa accettarsi e integrarsi al meglio nel mondo.
Il prete e lo psicologo partono dallo stesso presupposto, ossia che la sofferenza e il mal-essere appartengono alla natura e al mistero dell’uomo. Ma una volta incontrato il dolore un uomo di Chiesa deve necessariamente rifarsi alla parola di Cristo e al giudizio divino e ciò richiede fede, una credenza cha basta a se stessa. Al contrario, lo psicoterapeuta, ponendosi in ascolto del dolore, deve sapersi distanziare da sé quanto basta per potersi mettere nei panni dell’altro ed aiutarlo ad evolversi e a trovare le proprie soluzioni; non dà consigli né pareri ma suo compito è costruire con il paziente un processo creativo che permetta non solo di stare psicologicamente meglio, ma soprattutto di acquisire una nuova visione del mondo, che è unica.
“La psicoterapia è una professione di curatori laici di anime, i quali non hanno bisogno di essere medici, e non dovrebbero essere sacerdoti” (Sigmund Freud)
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