Gauthier: l’orma sul Concilio del prete con la cazzuola

Nasceva il 30 agosto di cent’anni fa il religioso che dedicò la vita al servizio ai più poveri, nella natia Francia come in Terra Santa.

Il “profeta della Chiesa dei poveri”, il prete operaio che divenne carpentiere e falegname in Terra Santa per essere alla “sequela di Gesù” o ancora, come affermò una volta Leonard Boff, il «padre della teologia della liberazione». Sono tanti gli aggettivi, epiteti, soprannomi che hanno cercato di raccontare la vita ma soprattutto l’apostolato poliedrico, sempre a favore degli ultimi, di Paul Gauthier (1914-2002) di cui ricorre domani il centenario della nascita. Un personaggio che con la sua azione di «profeta con la cazzuola», secondo una felice definizione di Teresio Bosco, incise più di quanto si immagini sull’apertura del Concilio Vaticano II alla modernità, al dialogo con i lontani e ad indirizzare il cattolicesimo verso le frontiere più “spinte” della sua missione a fianco dei più poveri della terra.
Paul Gauthier nasce in Francia a La Fléche per poi entrare in seminario a Digione (di cui sarà successivamente anche direttore) nel 1929. I primi anni della vita sacerdotale di Gauthier sono dedicati all’apostolato intellettuale, alla scrittura, tra l’altro, di alcuni soggetti cinematografici. Non è un caso che il terreno di coltura su cui si forma la personalità di Gauthier è costituito da esempi di vita come Charles de Foucauld, Henri Bergson, Teresa d’Avila e Giovanni della Croce. Palestra ideale del futuro ministero a favore dei poveri, a metà degli anni Quaranta, è la frequentazione a Marsiglia del domenicano Jacques Loew, caposcuola dei preti operai di Francia. Ma è con l’anno 1954 che il giovane sacerdote di Digione chiede al suo vescovo, Guillaume-Marius Sembel, l’esonero dal suo ministero ordinario di prete diocesano per «dedicarsi all’evangelizzazione dei poveri».
Da allora affioreranno le grandi intuizioni di Paul Gauthier: con un gruppo di giovani si stabilirà a Nazaret per fondare una piccola famiglia religiosa, di respiro internazionale, “I compagni e le compagne di Gesù carpentiere” (1957-1958). Piccolo tra i piccoli prende coscienza, in questo martoriato lembo di terra mediorientale, del dramma palestinese; buona  parte del suo ministero di prete viene speso a favore della costruzione di “case per tanti senza casa” (in maggioranza profughi delle zone di guerra).

Fondamentale in questi anni l’incontro col vescovo di quei territori, George Hakim, che vuole il giovane prete francese accanto a sé dal 1962 al Concilio Vaticano II. Un’occasione, quella del Concilio, che permette al giovane Gauthier di conoscere i grandi della teologia in voga in quegli anni, di confrontarsi con uomini del calibro diYves-Marie Congar e Henri- Marie de Lubac (che rimarrà sempre scettico verso le istanze portate avanti dal sacerdote di Digione). Ed è proprio l’evento Vaticano II che colloca padre Gauthier sotto i riflettori: qui pone le basi del movimento della “Chiesa dei poveri”. Un manifesto programmatico che coinvolge e non lasca indifferenti molti dei padri
conciliari (circa trecento), tra cui il cardinale di Bologna, Giacomo Lercaro. È questa, a detta di molti studiosi, la prima pietra della teologia della liberazione. Bussola principale di riferimento da allora per il sacerdote carpentiere di Betlemme è la costituzione pastorale
Gaudium et spes. Ed è proprio di questi anni (1963) la stesura di un libro che lascia il segno più importante del suo apostolato:
Jésus, l’Eglise et les pauvres.
Il 1964 rappresenta nella biografia di Gauthier un capitolo di snodo: con il giornalista Ettore Masina (conosciuto ai tempi del Concilio) fonda
Rete Radié Resch,
un’associazione di solidarietà internazionale chiamata così dal nome di una bambina palestinese morta di polmonite in un tugurio. Da allora l’impronta a favore dei più deboli per Gauthier è ancora più radicale; è di questi anni la sua frequentazione con il filosofo della
liberazione Enrique Dussel, ma anche delle prese di distanza dal dramma, nel 1967, della Guerra dei Sei giorni: «Da quando ho visto i bambini morire sotto le bombe più nessuna pietra per me ha importanza: né quella del Santo Sepolcro, né quella del Muro del Pianto, né quelle di tutte le moschee. Conta solo l’immane sofferenza dei piccoli della terra, siano essi ebrei, musulmani, cristiani, buddisti o comunisti, neri o bianchi o gialli. Tutti coloro per cui Cristo è morto».
Una svolta che lo porta prima a emigrare in Libano e poi in America Latina, per spendersi ancora di più a favore degli ultimi e dei più diseredati. Una spinta così radicale che conduce Gauthier a prendere le “distanze” dalla «Chiesa cattolica ufficiale» e a lasciare il sacerdozio. Altrettanto forte la scelta di sposare il suo storico braccio destro dai tempi del suo apostolato in Palestina, Marie Thérèse Lacaze, per poter così adottare e dare un tetto e una famiglia a due piccoli orfani, conosciuti in un viaggio in India. L’opzione preferenziale per i poveri rimane sempre la stella polare della sua vita; memorabile è il suo pellegrinaggio, sul finire degli anni Settanta, in Abruzzo sulla tomba di Ignazio Silone e la sua ammirazione per lo scrittore di
L’avventura di un povero cristiano.
Come sicuramente singolare di questa complessa personalità è, secondo le testimonianze di un suo intimo amico, Pasquale Iannamorelli, la sua devozione per Celestino V, il papa del «gran rifiuto » capace di essere una sana sintesi, all’«insegna della povertà evangelica», tra «il monachesimo benedettino e il francescanesimo».
Ormai minato dagli acciacchi dell’età e della malattia muore il 25 dicembre del 2002, il giorno di Natale, a 88 anni in un piccolo appartamento di Marsiglia, rimanendo fedele a se stesso e allo stile di vita che aveva deciso di condurre per tutta la sua lunga esistenza. A cento anni dalla nascita rimangono forse oggi attuali alcune sue parole proferite poco prima di morire: «Vorrei arrivare all’ultimo giorno della mia vita con la gioia del testimone e poter dire: ho vissuto, ho parlato e ho salvato l’anima mia».

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