Aziza, cacciata dalla palestra perchè indossa un hijab

Racconta Aziza, 30enne di origine marocchina: “La titolare della palestra mi urlato di togliermi il burqa dalla testa ma io indossavo un velo che non copre il viso”. Ora la giovane sporgerà denuncia. Le era già successo una volta, sul posto di lavoro, “ma non ho potuto ribellarmi perchè avevo bisogno dello stipendio”

di Veronica FernandesNovellara (Reggio Emilia)

Stava correndo sul tapis roulant, Aziza El Ouardi, quando le è corsa incontro la titolare della palestra. “Mi ha urlato di togliermi quel burqa dalla testa – racconta la 30enne marocchina che dal 1991 vive in provincia di Reggio Emilia – dicendo che stavo offendendo gli altri clienti e pubblicizzando la mia religione”.

“Mi ha detto: togliti il burqa dalla testa”
Era una settimana fa. Siamo a Novellara, in provincia di Reggio Emilia, culla dell’immigrazione indiana, principalmente sikh, che fin dagli anni Ottanta vive, lavora e professa qui la sua religione, tanto che nel comune reggiano c’è anche un tempio, inaugurato nel 2000 da Romano Prodi. Per lavoro – “Un contratto di due mesi come interprete” – Aziza si tarsferisce da Reggio a Novellara e si iscrive in palestra, la stessa che frequenta il marito. Per due volte va ad allenarsi senza velo, poi quel giorno decide di indossarlo. E i sorrisi della titolare si trasformano in sguardi torvi e accuse.

“Secondo la palestra il velo offende i clienti”
La titolare della palestra, che non siamo riusciti a rintracciare, la accusa di violare il regolamento perchè non indossa un abbigliamento consono. “Preciso – spiega Aziza – che non stavo indossando un burqa ma un hijab (ndr: quello che si vede nella fotografia) che non copre assolutamente il viso, copre solo i capelli, come una cuffia, e nel regolamento non si parla di velo”. Dopo una discussione, abbastanza accesa, la ragazza si trova di fronte ad un bivio: togliersi il velo oppure andarsene.

“Voglio denunciare la palestra”
Per un po’ Aziza prova a spiegarsi: “Un atto del genere per me è discrimazione, è razzismo, ho cercato di convincere la titolare che il mio velo non aveva intenzione di offendere nessuno né di pubblicizzare la mia religione, ma non c’è stato verso”. Quando capisce che non c’è nulla da fare, chiede indietro la caparra. E si trova davanti ad un altro muro: “La titolare non me la vuole restituire e arriviamo a chiamare i carabinieri, è solo con il loro intervento che riesco ad ottenere la metà dei soldi”. La 30enne, prima di andarsene, pretende di scrivere sulla ricevuta che è stata costretta ad andarsene dalla palestra contro la sua volontà, perchè restasse una prova di quanto avvenuto. “Appena il lavoro mi darà un attimo di tregua – spiega – andrò da un avvocato.

“Mi rattrista che considerino il mio velo un insulto”
“La cosa che mi rende più triste – è il suo commento a freddo – è che ci siano persone per cui il velo è in un insulto e che pensano di avere ragione quando non mi vogliono in una palestra perchè lo indosso”. Se ha deciso di raccontare oggi la sua storia è per due motivi: prima di tutto per denunciare un gesto di razzismo quotidiano e in secondo luogo per dare l’esempio a chi subisce questo trattamento ma non ha il coraggio di opporsi: “Penso alle soprattutto alle donne appena arrivate in Italia, che non sanno come muoversi, a chi fare denuncia, che magari non parlano nemmeno italiano”.

“Una volta, per lavoro, ho dovuto togliere il velo”
Aziza è nata in Marocco, ha passato in Italia i due terzi della sua vita e si è da poco sposata. Lavora da quando era giovanissima e per mantenersi durante gli anni dell’università ha fatto di tutto: cassiera, cameriera, barista, operaio metalmeccanico, donna delle pulizie, agente immobiliare. Le è mai capitato di essere discriminata per il velo sul posto di lavoro? “Sì, quando lavoravo in un supermercato – racconta – mi sono presentata con il velo e mi hanno chiesto di toglierlo”. In quel caso ha smesso di indossarlo: “C’è crisi, non potevo permettermi di rinunciare allo stipendio, siccome si trattava di lavoro ho deciso di adeguarami – spiega oggi – nel caso della palestra mi voglio opporre, si tratta del tempo libero, della mia vita”.

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