Celibato dei preti…. il contributo al dibattito della Riforma… Protestante

In settimana abbiamo ricevuto la mail di un’ascoltatrice che scrive: «Sono rimasta colpita dalla lettera inviata a papa Francesco da 26 donne, legate sentimentalmente a dei sacerdoti, per parlare a cuore aperto della loro impossibile relazione sentimentale, impedita dal voto di celibato che lega i preti. So, dalla scuola, che i protestanti il celibato ecclesiastico lo hanno abolito: non so però quali sono i motivi che permettono ai vostri pastori di farsi una famiglia».
La questione è una di quelle che nel passato hanno ampiamente alimentato la polemica confessionale. Spesso però ha a che fare con la vita e i sentimenti di persone in carne ed ossa – come nel caso citato dalla nostra ascoltatrice.
La Riforma protestante abolì l’obbligo del celibato ecclesiastico perché questa pratica non trova fondamento nella testimonianza delle Sacre Scritture. Nella Bibbia si parla di sacerdoti con mogli e figli; si dice che gli apostoli erano sposati, e si consiglia ai vescovi, per la loro reputazione, di essere mariti di un’unica moglie. Certo, c’è anche l’apostolo Paolo che dice che chi si sposa fa bene, ma chi non si sposa fa meglio. Quella di rimanere celibi o nubili è sicuramente una scelta legittima, ma appunto è una libera scelta del singolo e non un’imposizione.
C’è poi un’altra ragione che ha spinto i Riformatori ad ammettere il matrimonio dei pastori: una diversa valutazione del mondo secolare. La vocazione cristiana, secondo il protestantesimo, può essere vissuta soltanto nel mondo secolare: non esistono né luoghi appartati come i monasteri, né condizioni particolari come il sacerdozio, nei quali vivere una fedeltà maggiore di quella che ti consente la vita di tutti i giorni. Per questo la Riforma chiuse i primi e abolì, con l’idea del sacerdozio universale, la distinzione tra clero e laicato. Un pastore si distingue dai membri di chiesa per i doni ricevuti dal Signore, per la preparazione teologica che ha, ma è un laico come tutti gli altri che è chiamato ad esprimere la sua vocazione nella vita di tutti i giorni, condividendo con i suoi fratelli e le sue sorelle in fede quei doni che il Signore elargisce. Tra questi, anche il matrimonio. Nella concezione evangelica, il matrimonio non è dunque un ostacolo al ministero nella chiesa: né l’essere celibe né l’essere sposata fa di una persona un migliore o peggiore ministro di culto.
L’avere dei pastori sposati porta certamente con sé una serie di problemi, ma, in positivo, può contribuire a radicare maggiormente la predicazione nell’esperienza quotidiana; a comprendere la sessualità in modo più positivo, tanto da non precluderla a chi si occupa per professione delle cose di Dio; a seguire i cambiamenti della società e l’evolversi, in essa e nella chiesa, dei diritti di uomini e donne, tanto che oggi non ci sono solo i pastori e le loro mogli, ma anche le pastore con i loro mariti.

Luca Baratto in “Riforma”  del 6 giugno 2014

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