Nuovi retroscena sulla violenza di don Pietro nel racconto dello zio di Erik: “Io accusato per anni di aver abusato di mia sorella”

L’inferno di Enzo Zattoni, zio di Erik, è cominciato alla fine dell’inverno 1981, quando è stato accusato di aver messo incinta la sorella appena 14enne, violentata invece dal parroco di Cornacervina, don Pietro. Oggi Enzo racconta quei giorni.

«SE POTESSI tornare indietro, non ci penserei due volte: picchierei don Pietro per tutto quello che ha fatto a mia sorella e alla nostra famiglia. Per aver accusato degli innocenti».
Enzo, ripercorra quei giorni drammatici.
«Abbiamo taciuto per troppi anni. Lo stesso don Pietro mi diceva: Dovresti vergognarti a cercare la vendetta anziché il perdono. L’ho incontrato tanti anni fa nel suo studio, proprio lì dove aveva violentato mia sorella una volta, e dove ci aveva provato la seconda (ma per fortuna lei era riuscita a scappare). Era la sera del 17 febbraio 1984, il giorno in cui ci hanno sfrattati. Sono intervenuti i carabinieri prima che potessi fargli del male».
Parli del giorno in cui tutto è cominciato.
«L’8 febbraio del 1981 abbiamo avuto la notizia che mia sorella era incinta. Prima non ci eravamo accorti di niente. Vedevamo che era più chiusa, triste, distratta. Ma davamo la colpa all’età».
Cosa successe quella sera?
«Lei stava molto male. E abbiamo chiamato la guardia medica. Io ero preoccupato, ho coinvolto anche il campanaro, che era rimasto lì con noi. Incredibile»
Perché incredibile?
«Perché don Pietro successivamente mi ha suggerito che il violentatore avrebbe potuto essere proprio il campanaro».
Poi siete andati in ospedale.
«Sì, a Codigoro. Erano circa le 22. E il destino ha voluto che ad accoglierci fosse una suora, vicina a don Pietro. Il mattino successivo la suora ci ha confermato che mia sorella era incinta. E che aveva ricevuto una telefonata la mattina presto da parte di un uomo a cui lei avrebbe risposto: Non ho parlato con nessuno, tranquillo».
Quell’uomo poteva essere Don Pietro?
«Probabilmente, ma non abbiamo mai avuto certezze. Comunque quando al mattino del 9 febbraio siamo tornati a Codigoro lo abbiamo incontrato per la strada. Gli ho subito raccontato che mia sorella era incinta e lui ha risposto: Lo so».
Ma ancora non dubitavate di lui?
«No. Quando sono arrivato in ospedale mia sorella era distrutta, piangeva. Io cercavo di farle delle domande, ma in modo scherzoso, tipo: Ma guarda cosa mi hai combinato. Ma lei non voleva parlare. Il 10 febbraio a casa, sotto le insistenza di tutti i famigliari, è esplosa: È stato don Pietro».
Cosa ha provato in quel momento?
«Mi si è spezzato il cuore, una batosta. Mi sentivo annichilito, stranito. Non volevamo crederci. Io era stato in seminario, frequentavo la Chiesa».
Come avete agito?
«Con discrezione. Ci siamo rivolti ad un altro prete, che ci ha consigliato di parlare con il vescovo Franceschi. Lui a sua volta ci ha chiesto di stare in silenzio. Il prete che ci consigliava ha cominciato a dire che non poteva essere stato don Pietro: il colpevole, diceva, era da cercare in famiglia».
E da lì è cominciato il suo calvario.
«Sì, pensi che don Pietro mi aveva consigliato di andarmene dal paese. Aveva detto a mia madre: Meglio perdere un figlio che avere una vergogna simile».
Lei ha parlato di discrezione. Facevano bene i vescovi a non volere che la storia si sapesse?
«Assolutamente no. Un conto è la discrezione, un altro è l’omerta. In questi casi il silenzio è un atto criminale. Per tanto tempo ho lottato, poi ho rinunciato, non ce la facevo più. Una volta un avvocato del Vaticano è venuto da me, mi ha detto: Sentiamoci. Gli ho risposto: Non fatevi più vedere, ho il vomito».
Cosa direbbe oggi al Papa se ce l’avesse di fronte?
«Di richiamare i suoi vescovi: le gerarchie ecclesiastiche mi hanno trattato come un cane».
Lei crede in Dio?
«Si ci credo, ma la mia fede ha vacillato spesso. Credo che in questi trent’anni anche Lui ci abbia lasciati soli».
Daniele Modica – Il Resto del Carlino Ferrara

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