Dal Brasile con furore: papa Francesco su lobby gay, donne e divorzio

Prima di partire per il Brasile, papa Francesco aveva spiegato a qualche amico giornalista che la tradizionale conferenza stampa ci sarebbe stata, ma non si sarebbe tenuta sul volo d’andata. Piuttosto su quello di ritorno. L’idea di fondo era evitare che, come in passato, le parole pronunciate in aereo oscurassero i gesti dei primi giorni di Giornata mondiale della gioventù. Scelta efficace, perché – come nelle attese – è stata una conferenza stampa densissima.

Tanto più perché le domande dei giornalisti hanno insistito su quello di cui a Rio de Janeiro non si è parlato. A partire dal tema del giudizio della Chiesa sull’omosessualità, legato, stavolta, alla questione della “lobby gay” in Vaticano. Citiamo la risposta come riportata da Andrea Tornielli, il “Vatican Insider” della Stampa, come sempre rapidissimo nel riportare tutto parola per parola: «Bisogna distinguere tra l’essere gay, avere questa tendenza, e fare lobby. Le lobby, tutte le lobby, non sono buone. Se una persona è gay e cerca il Signore con buona volontà, chi sono io per giudicarlo? Il Catechismo della Chiesa cattolica insegna che le persone gay non si devono discriminare, ma si devono accogliere. Il problema non è avere questa tendenza, il problema è fare lobby e questo vale per questo come per le lobby d’affari, le lobby politiche, le lobby massoniche». Ma perché in Brasile non ha parlato di aborto e nozze gay? – insistono i cronisti. «La Chiesa si è già espressa su questi argomenti, ha già una posizione chiara. E durante il viaggio in Brasile era necessario parlare positivamente».

La risposta di papa Bergoglio tiene insieme esigenze comunicative (semplice ed efficace la formula “il problema è la lobby, non i gay”) e dottrina cattolica. Il papa è riuscito a dare al mondo un segnale di apertura (il sito del New York Times già titola «Pope says he won’t judge gay priests») senza discostarsi di una virgola dall’insegnamento tradizionale della Chiesa.

Un atteggiamento simile a quello del passaggio sulla riforma della Curia. Non accenna a “rivoluzioni”, papa Francesco spiega «abbiamo bisogno del profilo dei vecchi curiali», quelli che «vanno dai poveri di nascosto o che nel tempo libero vanno in qualche chiesa e esercitare il ministero». Rinnovamento nella tradizione, anche se la carcerazione di monsignor Scarano, contabile dell’amministrazione del patrimonio apostolico, «provoca dolore».

La lingua dei giornalisti batte sempre sugli stessi punti. Sacerdozio femminile. Il papa non parla di innovazioni istituzionale, non ce ne sono in vista. «Una Chiesa senza le donne è come il collegio apostolico senza Maria»: anche qui il riferimento è semplicemente al Vangelo. Ma il cambiamento è necessario: «Non abbiamo ancora fatto una teologia della donna. Bisogna farlo. Per quanto riguarda l’ordinazione delle donne, la Chiesa ha parlato e ha detto no. Giovanni Paolo II si è pronunciato con una formulazione definitiva, quella porta è chiusa. Ma ricordiamo che Maria è più importante degli apostoli vescovi, e così la donna nella Chiesa è più importante dei vescovi e dei preti».

Il problema non è nella Tradizione, nella dottrina. Piuttosto nelle debolezze della Chiesa storica. Come sulla questione dei sacramenti ai divorziati: «Il clericalismo ha lasciato tanti feriti e bisogna andare a curare questi feriti con la misericordia. La Chiesa è mamma, e nella Chiesa si deve trovare misericordia per tutti». Già oggi, dice il papa, «i divorziati possono fare la comunione, sono i divorziati in seconda unione che non possono». Ed è ammesso lo scioglimento del matrimonio per nullità («il tema della nullità si deve studiare»). Parole che suonano come un’apertura, e non da poco.

di Lorenzo Biondi – europaquotidiano

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