Preti sposati, credono che il sacramento dell’ordinazione sacerdotale sia conciliabile con quello del matrimonio

Preti sposati, credono che il sacramento dell’ordinazione sacerdotale sia conciliabile con quello del matrimonio. Lo ha riaffermato anche don Giuseppe Serrone, fondatore dell’associazione sacerdoti lavoratori sposati. (ndr)

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Lo chiamano, con una definizione fredda e a volte dispregiativa, “clero uxorato”. E’ la realtà dei preti sposati, di quanti credono che il sacramento dell’ordinazione sacerdotale sia conciliabile con quello del matrimonio. Una realtà multiforme, presente nelle diverse confessioni cristiane, nella chiesa ortodossa come in quella protestante. E anche in quella cattolica, ma solo nei cosiddetti “riti orientali”, quelli regolati con il Codice del diritto canonico delle chiese orientali, appunto. Nelle chiese greco-cattolica, siriaca, armena, copta, antiochena, melkita, etiope, e in tutte comunità cattoliche dell’est Europa, si distingue la figura del monaco (non sposato) da quella del prete che può regolarmente sposarsi e avere figli. Sono chiese che hanno lo stesso papa di Roma e sono pienamente riconosciute dalla Santa Sede.
Nella chiesa di rito latino (quella occidentale), invece, la questione è ancora tabù. Il “no” è stato ribadito di recente alla riunione cardinalizia convocata da Ratzinger dopo l’ennesima evoluzione del caso Milingo. Ad aprire (e poi subito chiudere) una porticina ci ha pensato anche il cardinale brasiliano Claudio Hummes, un francescano appena giunto a Roma per ricoprire il nuovo incarico assegnatogli dal papa, quello di prefetto della congregazione del clero, uno dei dicasteri della curia romana. Il cardinale era stato preceduto in Italia da un’intervita rilasciata
al quotidiano di San Paolo Estrado do S. Paulo in cui aveva dichiarato una semplice verità: “Il celibato non è un dogma”. L’affermazione, certo priva di qualsiasi carattere rivoluzionario, aveva però assunto valore per il momento in cui era giunta, e perché si tratta della prima intervista del nuovo capo-dicastero. Vista
l’interpretazione data dai mass-media, per una “possibile nuova apertura del Vaticano” al matrimonio dei preti, il cardinale ha precisato ieri che “la questione dell’abolizione del celibato sacerdotale non è attualmente all’ordine del giorno delle autorità ecclesiastiche”. Affermando poi che “un allargamento della regola del celibato non sarebbe stato una soluzione neppure per il problema della scarsità delle vocazioni che è da collegare piuttosto ad altre cause, a cominciare dalla cultura secolarizzata moderna”.
Eppure la questione dei preti sposati è un di quelle che molta parte della chiesa cattolica e dell’associazionismo di base si aspetta venga ridiscussa nei prossimi anni. Proprio perché non rappresenta una verità di fede, ma una norma disciplinare che, come tante altre, può essere aggiornata e modificata. Ricordando che nelle comunità cattoliche di rito orientale il matrimonio dei ministri di culto è accettato e praticato, nella piena fedeltà al pontefice romano. Ai sacerdoti legittimamente ammogliati, vanno poi ad aggiungersi quanti nella chiesa latina hanno abbandonato le sacrestie per sposarsi, ricevendo l’automatico divieto di esercitare il ministero.
Secondo alcune stime, i preti in questa condizione, ansiosi di ritornare a celebrare messa, sarebbero oltre centomila: 20mila negli Usa, 5.000 circa in Italia, 3.000 in Canada. La Santa Sede, in molti casi (circa 70mila), ha poi offerto una “sanatoria”, rilasciando la dispensa dal sacerdozio e dunque permettendo al prete di cambiare del tutto vita. Ma intanto anche fra i vescovi latini si fa strada l’ipotesi di aprire al matrimonio per gli ecclesiastici: alcuni mesi fa l’arcivescovo di Dijon, mons. Roland Minnerath, figura di spicco della chiesa francese, aveva proposto l’abolizione del celibato in risposta alla crisi delle vocazioni sacerdotali, sempre più forte in Francia (si è scesi dai 566 nuovi preti del 1966 ai 90 del 2004).
Anche sul piano teologico, la sfida è aperta: don Basilio Petrà, ordinario di teologia morale alla Facoltà teologica dell’Italia centrale, nota che solo di recente, dopo le conquiste del Concilio Vaticano II, che aveva “dato dignità ecclesiale e teologica al sacerdozio uxorato”, la “teologia romana” l’ha trasformato in una sorta di “sacerdozio abusivo”, oppure in “un sacerdozio minore, meno perfetto”. Tendenza, questa, rafforzata da Giovanni Paolo II, con l’esortazione apostolica del 1992 Pastores dabo vobis.

di Mimmo de Cillis

lettera22

pubblicato il 16 Aprile 2012 ore 15:33

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