Diventerà un caso da discutere davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo la comunione negata a un bambino disabile da don Piergiorgio Zaghi

Diventerà un caso da discutere davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo la comunione negata a un bambino disabile da don Piergiorgio Zaghi, il parroco di Porto Garibaldi (Ferrara). Violazione della libertà religiosa è la contestazione che due avvocati del foro di Parma, Antonio Ricci e Antigico Zannaco, muovono al sacerdote e che diventerà anche oggetto di un esposto al Vaticano. “L’ordinamento giuridico canonico non fa alcun riferimento né all’età né alla capacità di intendere e volere”, scrivono i legali emiliani mentre proprio di inabilità psichica aveva parlato monsignor Antonio Grandini, vicario della diocesi di Ferrara-Comacchio. Inabilità a causa della quale il bambino che non avrebbe saputo “distinguere tra un pezzo di pane e un’ostia”.

Nella vicenda, avvenuta la settimana scorsa, nel giorno del giovedì santo, interviene anche don Andrea Gallo, il religioso alla guida della comunità di San Benedetto al Porto di Genova, che parla di “sconfitta” per la chiesa. Per lui, celebre voce degli esclusi e degli ultimi, ancor prima di qualsiasi verdetto in sede giudiziaria, vale una domanda: “Com’è possibile lasciar fuori qualcuno in questo modo? Il momento della comunione per i cristiani punta a fare comunità, tutto il resto è liturgia, sono scenografia e simboli”.

“Sulla vicenda avrebbe dovuto esserci almeno una perizia medica”, prosegue don Gallo. “A prescindere da ciò, tuttavia, l’eucarestia trova tutti al centro, è un convivio universale. Non è dunque giustificabile negare a qualcuno di partecipare. Alla mia gente ripeto sempre di dire ‘vengo a fare comunione‘, non ‘la comunione’. È un momento in cui si deve testimoniare l’amore, la giustizia, e la fraternità”.

Per don Andrea Gallo, solo nel caso in cui ci sia costrizione, ostilità o rifiuto ci si può opporre al sacramento. “Quel parroco avrà fatto le sue valutazioni”, dice ancora, “ma direi che non comprendo il suo gesto. Spezzare il pane deve portare a far sentire e a sentire tutti uguali. Dunque com’è possibile non includere soprattutto una persona sofferente? Basterebbe rispondere a questo interrogativo ancor prima di rivolgersi a tribunali o al Vaticano. A un punto simile, entrano in gioco carte bollate e quando accade ciò, nel dialogo tra la chiesa e la comunità del fedeli, non si può parlare che di fallimento”.

Sulla stessa linea si trova anche il sociologo Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio sui diritti dei minori e consulente della commissione parlamentare per l’infanzia. “Quanto accaduto è a dir poco assurdo”, ha detto, “e lo è non soltanto sul piano etico, ma soprattutto sotto il profilo dei diritti fondamentali riconosciuti ai bambini. Il sacerdote, negando al piccolo la comunione, ha leso la sua dignità di persona. Ancora più incredibile risulta essere la motivazione addotta dal vicario della diocesi. Credevo che il sacramento fosse vincolato a uno stato di grazia e purezza più che a un test psico-attitudinale”.

Di “violazione delle disposizioni canoniche” parla Aurelio Mancuso, presidente dell’associazione per i diritti civili Equality Italia. Disposizioni che, aggiunge, sono “già assurdamente restrittive nei confronti di persone separate, divorziate o omosessuali, ma che non prevedono alcuna esclusione dall’eucarestia per le persone inabili. È evidente che nella chiesa cattolica prelati e sacerdoti hanno perso la bussola del messaggio evangelico, che proprio agli afflitti e ai malati riserva parole forti e chiare”.

ilfattoquotidiano

11 Aprile 2012 ore 22:42

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